Archive for the ‘APPUNTAMENTI’ Category

Leo Cubans, l’aglianico di Giovanni Carlo Vesce che conquista al primo sorso!

5 luglio 2022

Aglianico, che magia! Proviamo a guardare a questo straordinario vitigno campano con gli stessi occhi di chi si approccia ai grandi vini italiani, riferendoci cioè non più semplicemente al vitigno originario o alla menzione legislativa della denominazione, bensì alla sua tipicità proveniente da territori e microclima specifici, se non addirittura da una singola vigna.

Questo non è il (breve) racconto della solita novità sul mercato, l’azienda agricola di Giovanni Carlo Vesce non nasce oggi, anzi, coltiva uva e produce vini da molte generazioni anche se per il solo consumo di famiglia. Fino alla metà del ‘900, infatti, i vigneti della famiglia Vesce sono stati coltivati da famiglie di contadini residenti sui diversi fondi, secondo gli usi e i costumi regolati dalla mezzadria e che non riguardava solo uva e vini, ma al tempo anche grano e tabacco risultavano attività molto fiorenti in questo areale collocato tra il Sannio, il Beneventano e la vicina Puglia. Due secoli dopo, la miseria, l’emigrazione e i danni provocati dalle grandi guerre, insieme alla caduta della mezzadria, hanno naturalmente cambiato radicalmente il sistema agricolo e sociale, senza disperdere però le radici e il valore della tradizione.

Si arriva quindi ai tempi d’oggi, proprio qui davanti a questo splendido aglianico Leo Cubans ventiventi, un’Irpinia doc Campi Taurasini proveniente da una vecchia vigna dell’antico cru della famiglia Vesce sito in contrada Cuorno, a Venticano, terreni vocatissimi perlopiù argillosi, sabbiosi, con sedimenti e coperture piroclastiche. Le uve sono state raccolte verso la fine di ottobre, spingendosi sin quasi a novembre, diraspate e immediatamente avviate alla fermentazione e alla sosta sulle bucce per circa 20 giorni. Tutto è finito poi prima in acciaio, quindi in bottiglia, senza alcuna filtrazione o altra ingerenza, niente legno. A questo giro ne sono venute fuori poco più di 2500 bottiglie di straordinaria suggestione.

Curiosa l’origine del nome di questa etichetta; le uve di questo rosso provengono sostanzialmente da quella che storicamente è conosciuta come ”piana del Cubante”, una terra che per molte generazioni ha fornito aglianico e coda di volpe di buonissima qualità sopravvissute alla devastante infestazione di filossera dell’800, proprio lungo la via Appia Antica che da Benevento conduceva a Brindisi. Cubante è una frazione del Comune di Calvi, in provincia di (BN), da qui il nome Leo Cubans, letteralmente ”leone che giace”, un toponimo antichissimo e suggestivo in quanto origina dal ritrovamento di un leone sdraiato, proprio lungo quel tratto della via Appia Antica teatro della battaglia fra Tiberio Sempronio Gracco ed il generale Annone (214 a.C.). Un’interpretazione di tale inspiegabile avvistamento ipotizza che il felino fosse sfuggito ai suoi trasportatori durante un trasferimento di fiere catturate in Africa verso il Circo Massimo o altro serraglio romano.

Ciò detto, siamo di fronte ad un rosso dalla forte identità territoriale, è un aglianico di 14,5 gradi di poderosa personalità ma al contempo di spiccata freschezza, un rosso avvenente, pieno di frutto, corposo, dal bellissimo colore rubino intenso, con numerose e piacevoli sensazioni odorose giustamente proporzionate, con sentori di viola e piccoli frutti neri sino a spezie, tabacco e liquirizia. Il sorso avvolge senza coprire, coinvolge senza strafare, regala una beva franca e accorta, soprattutto se si ha l’intelligenza di giocare (bene) con la temperatura di servizio, rinfrescandolo prima intorno ai 14 gradi poi via via un po’ più sbottonato sui 16 gradi, capace così di regalare un finale di bocca asciutto, lungo e persistente. Di quei vini assolutamente contemporanei di cui ti puoi innamorare al primo sorso!

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Radda in Chianti, Casa Porciatti

13 ottobre 2021

E’ un riferimento assoluto la famiglia Porciatti nel Chianti, dal 1965 Luciano Porciatti e la sorella Anna, insieme a tutta la famiglia, propongono nella loro tradizionale bottega di Radda in Chianti, la migliore varietà di salumi chiantigiani lavorati con le tecniche e i segreti di una volta.

L’arte del norcino chiantigiano, Luciano Porciatti l’ha appresa dal babbo Gigi, che nei freddi inverni del secolo scorso passava da una fattoria all’altra radunando intorno a sé intere famiglie nel rito contadino più importante: la lavorazione del maiale.

La scelta, la preparazione dei pezzi e infine la stagionatura delle carni sono tutte fasi rigorosamente eseguite in casa, ciò garantisce prodotti unici che solo in questi luoghi si possono ancora trovare: soprassata, buristo, sbriciolona, capocollo, salame, prosciutto e i famosi “tonno di Radda” , oppure il “lardone di Radda” e la mitica “Porciatella” ovvero la mortadella del Chianti Classico di casa Porciatti.

Qui nei banchi della gastronomia e della macelleria ci sono inoltre tutti i giorni le tradizionali preparazioni toscane già cotte oppure pronte per essere cucinate, con le ricette di una volta; è possibile portarsi via, tra le varie specialità, la porchetta, i crostini toscani, il pollo arrosto, il roast-beef, le lasagne al sugo, l’arista al forno, il ragù toscano, il polpettone, gli spiedini, l’anatra in porchetta, lo stracotto al Chianti e tante altre specialità affiancate da una fornitissima enoteca che a qualche metro di distanza, sotto al camminamento medievale di Radda, si fa anche Osteria e Wine Bar, con una proposta di vini molto vasta con tante annate storiche chiantigiane e più di una sorpresa da portarsi via.

Casa Porciatti, piazza Quattro Novembre, 1 – Tel. +39 0577 738 055 – Enoteca Porciatti, Camminamento Medievale – 53017 Radda in Chianti, Siena – Toscana Tel. +39 0577 738234 – mail info@casaporciatti.ithttp://www.casaporciatti.it

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Felicia e… per sempre con noi!

6 ottobre 2021

La gente continuerà a percorre con te quella vigna, guardando il Massico, ascoltando il racconto di una storia che parte dai poeti latini e arriva sino alla fatica contadina, per essere oggi dimostrazione che c’è del buono, del sano, del vero a Caserta, in una terra così unica qual è l’Ager Falernus; amavi ripetere a te stessa, e ripeterci, che vi è un così profondo pudore nel doversi confrontare con un passato così tanto nobile e fragoroso, che c’è la necessità di doversi reinventare oggi e non “campare di allori antichi”. Perché siamo fortunati. E bravi, ma è più importante essere felici.

Poi restano quelle scale. Il ricordo di quelle scale di marmo dai morbidi profili della tua casa che fu di tua nonna, di cui lei era la colona. Quella in cui hai vissuto e in cui ci resterai per sempre. Avevi paura e meraviglia nello stesso tempo ogni qual volta ci mettevi piedi su quelle scale, erano quelle ”emozioni che ti attraversavano dentro come vere e proprie stilettate”, lo dicevi salendo con noi quei gradini di pietra lisce. E quella stanza delle bambole intoccabili, con gli occhi di vetro. L’odore forte del pane le domeniche mattina, di olio, di alloro affumicato per spazzare via la cenere dal forno, la luce accecante contro il buio della cantina di tufo e le scale rotte “che non dovevi scendere altrimenti saresti rotolata giù!”, e quel sentore di umido e la fragranza del sasso gocciolante.

”Mai scesa fin lì” dicevi, poi quando il tuo sogno si è realizzato, quando Masseria Felicia è diventata finalmente realtà ci sei finita a farle un giorno sì e un altro pure per mettere mano ai tuoi splendidi vini, ritagli e ricami di una terra straordinaria, la tua, che vedrai Felicia, non ti dimenticherà mai, come noi. Cosa ci hai lasciato Maria Felicia, per sempre con noi l’abitudine che non c’era e il desiderio di goderne, per sempre.

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Il 25 agosto appuntamento alla Scuola di Alta Formazione In Cibum

5 agosto 2021

Migliaia di parole al minuto vengono spese durante i corsi e sulla rete relativamente all’abbinamento dei cibi con i vini. Le più ascoltate e lette ci ricordano che le sensazioni del vino e del cibo si fondono per concordanza o per contrapposizione creando un insieme che deve risultare armonico, sarà proprio così?

Invero l’arte dell’abbinamento sta proprio nel mettere in piedi un effetto per il quale un certo tipo di vino valorizza un certo piatto e ne viene a sua volta valorizzato, talvolta anche fuori dagli schemi. Ne parliamo il prossimo 25 agosto alla Scuola di Alta Formazione In Cibum di Pontecagnano Faiano, a Salerno.

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Torniamo a lavorare per il nostro futuro!

31 dicembre 2020

A vent’anni il lavoro non lo scegli, lo fai e basta. Ne senti il bisogno, come l’acqua, per nutrire tutti i tuoi desideri.

Non ci pensi alla fatica, alle ore lavorate, alle rinunce, alle corse, ai momenti mancati e quelli persi che non ritorneranno. Ti fai bastare quello che hai perché è quello che ti serve.

Per quelli come me, per quelli della mia generazione, per tutti quelli cresciuti nel mio quartiere, il Rione Toiano a Pozzuoli, tra gli anni ’80 e ’90, il lavoro ha rappresentato una conquista preziosa che ha salvato in molti, ha reso possibile a molti lasciarsi alle spalle un’infanzia difficile e un’adolescenza a dir poco complessa, tra insidie e sbandate pericolose; certo io mi sono salvato molto prima, anzitutto grazie all’esempio di mio padre e alla mia famiglia: non c’è un giorno che comincia in cui non ho un pensiero di gratitudine per tutti loro!

Il mondo in cui vivi, soprattutto fuori dalla famiglia, ti porta facilmente a guardare ogni volta con occhi diversi la vita davanti. Gli anni passano, i tempi cambiano, mutano gli scenari, continui a non pensare alla fatica, alle ore lavorate, alle rinunce, alle corse, ai momenti mancati e quelli persi che non ritorneranno, assumono però via via peso e significati sempre più consistenti: dopo l’amore, quello della vita, arrivano magari i figli, nuovi progetti, ambizioni, sfide, sconfitte, fallimenti; aumentano talvolta le distanze, il vuoto, la solitudine, i silenzi e i sacrifici diventano significativi e le responsabilità superano di gran lunga i desideri. Ecco, capita che a trent’anni il lavoro che fai, quello che magari manco pensi di aver scelto, ti è entrato dentro, ha preso possesso della tua vita ed è pronto a farne quello che vuole.

E’ proprio in questo momento che si cresce, che si sposta avanti con forza il tempo, si abbattono barriere, si superano ostacoli solo apparentemente insormontabili, è qui che bisogna metterci tutta l’energia possibile per crescere, migliorarsi, senza porsi limiti, perché alzare l’asticella costa ma mai quanto restare fermi e impassibili davanti alla vita che scorre senza mai afferrarla, senza nemmeno provare a portarla dalla tua parte. Ed è il lavoro a permetterti tutto questo, di andare avanti, perché se non ci pensi più alla fatica, alle ore lavorate, alle rinunce, alle corse, ai tanti momenti mancati e quelli persi che non ritorneranno, è perché tutto ritorna, in un modo o in un altro tutto ritorna, perché tutto arriva a chi sa aspettare.

Voglio salutare quest’anno e tutti i miei e i nostri carissimi amici con solo questo auspicio, che presto possiamo tutti riprenderci le nostre vite ma soprattutto il nostro posto nel mondo grazie al nostro lavoro!

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I nostri migliori assaggi dell’anno!

17 dicembre 2020

Torniamo come ogni fine anno a fare i conti con quanto di (più) buono è passato su questo blog. Inutile sottolineare che diviene oggettivamente sempre più difficile, per nostra fortuna. Prendete però questi dieci vini per quelli che sono, secondo noi: alcuni tra i migliori in evidenza tra le decine e decine di buone bottiglie passateci per mano quest’anno, ma anche e soprattutto appunti di viaggio per ricordare luoghi e belle bevute tra amici, vigne che abbiamo camminato e tante belle persone che abbiamo incrociato. Tra questi, ecco quelli che (forse) riteniamo i nostri migliori assaggi dell’anno!

Irpinia Coda di Volpe del Nonno 2018 Cantine dell’Angelo. Rappresenta certamente un risultato molto incoraggiante per l’areale, cosa ne sarà potrà dirlo solo il tempo, con le prossime vendemmie , frattanto ci è sembrato un bianco che viaggia assolutamente parallelo agli altri due bianchi di Cantine dell’Angelo¤, i Greco di Tufo Miniere e Torrefavale. Se il primo rappresenta appieno l’idea di Greco di Angelo Muto, voluminoso e concreto, mentre Torrefavale resta un viaggio nel tempo tutto da affrontare, questa etichetta qui sembra volerci consegnare il gusto del momento, quel sapore dei vini immediati di una volta, non a caso dedicato al nonno. Il colore è paglia oro, abbastanza luminoso, il naso è sobrio ma fine, qualche lieve nota floreale e agrumata, sa di fiori gialli e bergamotto, della frutta a polpa gialla, di nespola. Il sorso è notevolmente fluido, gratificante, morbido, sapido.

Paestum Fiano Tresinus 2018 Agricola San Giovanni¤. C’è tanta strada e sacrificio alle spalle di Ida Budetta e Mario Corrado, un duro lavoro che rende i loro vini ancor più autentici e territoriali, provenienti da uno degli areali più suggestivi della Campania, il Cilento; ci arriva nel bicchiere un vino dal bellissimo colore paglia oro, luminoso, con un corredo aromatico merlettato: vi si colgono note di agrumi, fiori gialli, erbette aromatiche, odore di salsedine, balsami. Il sorso mostra subito consistenza e stoffa, finissima tessitura, persistenza gustativa, misurata sapidità, è certamente uno di quei bianchi da bere con piacere già oggi ma che anticipa una certa capacità di maturare ed evolvere in bottiglia, di quelli che verrebbe voglia addirittura di incorniciare.

Campania bianco Cupo 2013 di Pietracupa. Un vino a dir poco emozionante, di rara complessità, venuto fuori da un’annata fresca e tardiva, ben inteso tra le migliori dell’ultimo ventennio in Irpinia, di impronta classica, con vini destinati a grande longevità e una progressiva evoluzione in bottiglia tutta da scoprire. Non a caso il Cupo¤ duemilatredici è un vino bianco ricco, dal colore intenso e avvenente, con un naso portentoso, ampio e complesso, puro e fine, al palato morbido ma pieno di stoffa pulsante, intessuto di freschezza e mineralità. Si fanno largo sentori tostati, finanche fumé che fanno da corollario ad un quadro olfattivo tratteggiato da frutta a polpa bianca e da erbette balsamiche (menta, timo, salvia), con un sorso pieno di sostanza, vigoroso, un finale di bocca lungamente sapido. 

Fiano di Avellino Tognano 2016 Rocca del Principe. E’ una splendida lettura varietale questo Tognano¤ duemilasedici, Cru suggestivo e ricco di stoffa. Il colore è splendido, paglia oro, il naso regala frutta a polpa bianca, anche esotica, fiori gialli, erbe aromatiche, spezie, balsami, richiami salmastri. Ha però forma e sostanza, si conferma un millesimo riuscitissimo da queste parti, l’annata della gioia come abbiamo già avuto modo di dire qualche recensione più in là, annata che ha regalato vini di gran frutto e spalla acida, trame finissime ordite con manico intelligente. Vini consegnati nelle mani del tempo, certamente capaci di evolvere, mutare, superando i tratti più immediati del varietale per lasciare spazio al carattere minerale più complesso e identitario che lo lega indissolubilmente a questo straordinario territorio.

Greco di Tufo Giallo d’Arles 2018 Quintodecimo. Questo è un vero e proprio Cru prodotto con le uve provenienti dalla Tenuta del Giallo d’Arles¤ di Tufo, 12 ettari tutti a Greco, a conduzione biologica, allevati a Guyot, da dove ci sembra venire fuori, con questo duemiladiciotto, una delle versioni più autentiche di Greco degli ultimi anni; un vino dal colore luminoso e invitante, che sa di pesca gialla e pompelmo, di caprifoglio e citronella, dove emergono perentorie il frutto e il territorio, proprio grazie alle abilità tecniche, la profonda conoscenza del territorio e del varietale, l’uso intelligente e misurato del legno, che consentono a Moio di portare in bottiglia tutta l’anima e l’energia di questo pezzo d’Irpinia, intessuti, potremmo dire, senza più puntini, niente più tratteggi, nessuna sovrastruttura ma solo grande armonia.

Piedirosso Campi Flegrei Colle Rotondella 2019 Cantine Astroni. Piccolo grande gioiello! E’ un rosso decisamente contemporaneo quello che ci arriva nel bicchiere, capace di regalare un piacevolissimo gioco dei sensi a chi si avvicina alla tipologia per la prima volta, con quel colore rubino dalle vivaci sfumature quasi porpora; è decisamente un piccolo fuoriclasse, possiede un ventaglio olfattivo estremamente varietale, è vinoso, floreale di gerani e di piccoli frutti rossi e neri maturi. Un corredo aromatico arricchito da lievi sfumature officinali e da una fresca tessitura gustativa, abilmente tenute assieme dal manico esperto di Gerardo Vernazzaro¤, proprio grazie alla sua lunga esperienza di studio del territorio e del varietale. Il sorso è secco e morbido, infonde piacere di beva e grazia ricevuta, una sorsata ne richiama subito un’altra, sfrontata, agile, calda e avvolgente.

Piedirosso Campi Flegrei Terrazze Romane 2018 Cantine del Mare. Ancora una chicca, ancora un Piedirosso, si tratta di una manciata di bottiglie che testimoniano appieno la qualità del grande lavoro in vigna e in cantina di questi ultimi anni portato avanti da Gennaro Schiano¤; il colore è splendido, rubino vivace, luminoso come sacro fuoco, il naso è un portento, fitto, ampio, finissimo, pieno di rimandi a frutta rossa polposa, sa di ciliegia e melagrana, floreale di rosa, peonia e gerani, con appena un accenno di balsami e macchia mediterranea. Il sorso è rotondo, sottile e disteso, si fa poi largo e si allunga ad ogni assaggio, abbastanza morbido, ricco di tanto frutto polposo, teso il giusto, dissetante. E’ un piccolo manifesto questo vino, oggi pronto a bersi con soddisfazione ma siamo certi anche capace di maturare e sorprendere nel tempo.

Falerno del Massico rosso Falé 2015 Torelle. “Falé” duemilaquindici è il Falerno di Torelle¤, il sogno di Emanuele Guardascione. E’ un Falerno rosso con Aglianico al 99% che fa un lunghissimo affinamento in acciaio, legni e bottiglia, ben 60 mesi, anche per questo ha un sapore assolutamente ancestrale, dal colore rubino vivace e un naso sfrontato e guascone, con quel timbro vinoso, floreale, fruttato e speziato e un sorso sottile, fresco, polposo e saporito, finanche sgraziato nel suo incedere gustativo ma pienamente autentico. Una bella novità in terra di Falerno che merita assolutamente di essere conosciuta, l’azienda è a Cascano di Sessa Aurunca, nel cuore dell’Ager Falernus, con il vulcano spento di Roccamonfina a nord-est e il Monte Massico a Sud-ovest.

Irpinia Campi Taurasini Cretarossa 2012 I Favati. Siamo tornati a cercare un Irpinia Campi Taurasini che fosse (finalmente) capace di farci ritornare a bere con piacere questo rosso Irpino di carattere ma audace e sbarazzino; ci siamo così ritrovati davanti a questo splendido vino, il Cretarossa¤ duemiladodici di Rosanna, Giancarlo e Piersabino Favati. Un rosso, manco a dirlo dopo 8 anni, con ancora tanta strada da fare, dal colore esemplare, rubino appena granato sull’unghia del vino nel bicchiere, fruttato, certamente balsamico, speziato ma pienamente succoso, nerboruto, pieno di stoffa, il buon rosso che ci aspettavamo insomma, dall’Aglianico, da quel territorio di provenienza, qui siamo a Montemarano e Venticano, dalla passione e dal manico di chi li ha governati.

Feudi Studi Taurasi Candriano 2015 Feudi di San Gregorio. ”Pezzo da 90” del progetto Feudi Studi¤, prodotto con le sole uve provenienti dall’areale di contrada Baiano, nel comune di Castelfranci, da vigne di età media di 20 anni, Candriano rappresenta una delle migliori espressioni di Taurasi in circolazione provenienti dal Versante Sud-Alta Valle della denominazione, dove il vigneto ad Aglianico assume una quota di rilevanza notevole, in alcuni punti sino a 700 mt s.l.m., vigneto distribuito nei comuni di Castelvetere sul Calore, Montemarano, Paternopoli e, appunto, Castelfranci. Ci arriva nel bicchiere un grande rosso, dall’impronta netta, con un bellissimo colore rubino e un naso subito coinvolgente, con profumi di viola, ciliegia, cacao, lievi nuances fumé; il sorso è pieno e avvolgente, possiede tannini finissimi, chiude vigoroso con un finale di bocca caldo e gratificante.

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Segnalazioni| A gennaio tre nuovi seminari #ASPIATHOME con Angelo Di Costanzo

16 dicembre 2020

Dal 26 Gennaio proseguono gli appuntamenti #aspiathome con 3 nuovi interessantissimi incontri sulla Campania Felix, alcuni dei suoi territori e i suoi vitigni, con Angelo Di Costanzo, Food&Beverage Manager e Sommelier. Durante gli incontri verrà degustato un vino che rappresenta le tipicità del vitigno o territorio oggetto della lezione, con l’intervento in diretta del produttore.

26 Gennaio – ore 20.30 – Le Terre del Fiano, con la Signora del Fiano Clelia Romano. Il racconto di uno dei vini di maggior successo dell’Irpinia, in provincia di Avellino, culla di tre straordinarie docg che proprio qui a Lapio serba una storia memorabile: una terra questa storicamente vocata all’aglianico ma che ad un certo punto si scopre vestita di bianco, sino a diventare patria e mito del Fiano di Avellino, grazie anche al coraggio e alla storia di donne del vino come Clelia Romano, per tutti la Signora del Fiano. Degustazione di Fiano di Avellino con Clelia Romano e Carmela Cieri.

2 Febbraio – ore 20.30 – Le Terre del Pallagrello e Casavecchia, c’era una volta un Principe. E’ una storia incredibile quella che proveremo a raccontare, proveniente dalla provincia di Caserta. Un viaggio che comincia proprio come una favola senza tempo, attraversando gli ultimi vent’anni immersi in un territorio unico e particolare, dalle tante anime, di cui racconteremo i vitigni Pallagrello bianco e Casavecchia. Degustazione del Terre del Volturno Casavecchia Centomoggia di Terre del Principe, con Manuela Piancastelli e Peppe Mancini.

9 Febbraio – ore 20.30 – Il Taurasi, il giovane grande rosso dell’Irpinia. L’aglianico è un vitigno di particolare pregio che qui, in questo territorio straordinario, situato nel cuore dell’Irpinia, trova una casa ideale; il vino Taurasi ha una grande storia che Antico Castello prova a ripercorrere con un vino moderno e proiettato nel futuro. Degustazione di Taurasi di Antico Castello con il produttore Francesco Romano.

Non perdete questa occasione di avere un sommelier ed un produttore a casa vostra, fate domande, soddisfate le vostre curiosità affidandovi ai professionisti per il migliore approccio al vasto e meraviglioso mondo della sommellerie.

Iscrivendovi a questo percorso alla scoperta dei territori e dei vini della Campania riceverete comodamente a casa le tre bottiglie che degusterete insieme al sommelier. Questo percorso ha un costo di 105€ (90€ per i soci in regola con la quota 2021).

Iscriversi é molto semplice, basta mandare una mail a info@aspi.it che fornirà tutte le modalità per partecipare. Ad iscrizione confermata, vi verrà fornito il link a cui potrete seguire la diretta, nel giorno prestabilito, con l’app Zoom. Non perdete questo speciale approfondimento sulla Campania e continuate a seguirci, sono in arrivo altri interessanti appuntamenti.

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Barbaresco, il report dell’annata 2020 di Gaja

24 novembre 2020

Chi segue queste pagine da tempo conosce bene la profonda devozione che nutriamo da sempre per Angelo Gaja e la sua straordinaria galassia di etichette prodotte in Piemonte, a Barbaresco e nelle Langhe, e in Toscana, tra Montalcino e Bolgheri. Ci pregiamo di condividere con voi una parte sostanziosa del report dell’annata 2020 di Gaja nelle Langhe.

Un primo giudizio sull’annata nelle Langhe. La quantità prodotta è nella media, le uve sono sane e mature, con acini pieni e succosi, bucce resistenti e ricche di antociani. Rispetto alla norma i grappoli sono un po’ più lunghi e gli acini un 15% più grandi.

Abbiamo buone prospettive in quanto le fermentazioni sono regolari, i colori sono intensi, i tannini morbidi e non aggressivi anche se molto presenti. I vini hanno una concentrazione leggermente inferiore al solito, forse per via degli acini mediamente più grossi, ma emerge la finezza del Nebbiolo e si denotano fin da subito profumi puliti, eleganti, senza pesantezze o rusticità. Anche le gradazioni sono equilibrate, vanno dai 13,5 ai 14,7, l’acidità è regolare, tra i 6,5 e 7 con ph tra 3,45 e 3,5.

Andamento stagionale. Il 2020 è stato un anno con una piovosità oltre la media (circa 1000 mm in zona Barolo, 900 mm in zona Barbaresco rispetto a precipitazioni totali annue mediamente di 800mm). Il fatto anomalo però è la distribuzione delle precipitazioni che, invece di essere in inverno e in primavera, si sono concentrate nei mesi estivi. Inoltre, va rimarcato come eccezionale il fatto che nonostante l’alta frequenza temporalesca, per la prima volta in tanti anni nessun nostro vigneto è stato danneggiato dalla grandine.

Gran parte delle piogge invernali è caduta nel mese di novembre (si segnala anche una nevicata precoce il giorno 15 che ha colto di sorpresa le viti ancora cariche di foglie) ed è stata fondamentale per contrastare la siccità di dicembre, gennaio, febbraio e marzo. In questi mesi le temperature sono state sopra lo zero termico, in particolare il mese di gennaio 2020 verrà ricordato per essere stato il più caldo degli ultimi 50 anni. A causa del grande accumulo idrico dell’autunno e del calore di inizio anno, le viti si sono risvegliate in anticipo. Il freddo è arrivato davvero solo a metà marzo, portando le temperature sotto lo zero fino a metà aprile. Non si sono verificati danni da gelate.

Con la sola eccezione di un picco di caldo a fine maggio, di uno ad agosto e uno a metà settembre, il periodo che va da maggio a inizio settembre è stato caratterizzato da giorni caldi ma mai eccessivi, frequenti temporali e abbassamenti delle temperature nei giorni a seguire.

Pertanto l’anticipo vegetativo di inizio anno è stato così annullato, tornando in linea con i tempi di sviluppo medi. Nelle 2 settimane centrali di agosto le temperature si sono alzate raggiungendo anche i 39 gradi e portando benefici alla maturazione delle uve. Dal 10 al 18 settembre le temperature si sono nuovamente assestate sui 28-30 gradi, completando la maturazione del Nebbiolo. Sono poi tornate le forti escursioni termiche per tutto il resto del mese e a inizio ottobre, favorendo ottimi colori, aromi netti ed un eccellente stato sanitario delle uve.

Le statistiche. La sensazione a prima vista è che soprattutto per San Lorenzo e la zona di Barbaresco i vini prodotti nel 2020 abbiamo delle affinità con le annate 2016 e 2014. La quantità lievemente più abbondante, le gradazioni alcoliche importanti ma equilibrate, la freschezza, eleganza e precisione degli aromi, il colore intenso, la lunghezza al palato ricordano il 2016, ma i tannini sono fin da subito meno astringenti. Le affinità con il 2014 sono invece la maggiore espressività dei profumi, i simili aromi fruttati e la struttura dei vini, con una concentrazione leggermente inferiore al solito.

Un commento ai dati che paragonano il 2020 al 2016 e al 2014. Va premesso che non ci sono mai parametri uguali in natura tra annata e annata e che oltre a luce, temperature e radiazione solare contano molte altre variabili tra cui l’età delle viti, il carico di uva per ceppo, la sanità dei suoli, la gestione delle malattie. Detto ciò, anche se nel complesso il meteo ha avuto andamenti diversi, sia nel 2016 che nel 2020 c’è stata una primavera fresca ed un surriscaldamento verso la fase finale della maturazione che ha ottimizzato i risultati. Anche il comportamento del vigneto, la gradualità dello sviluppo vegetativo delle viti e la dinamica della lotta ai patogeni così come lo stato sanitario delle uve ricordano il 2016.

Le precipitazioni e la distribuzione della luminosità nel 2020 hanno invece maggiore affinità con il 2014, così come anche la grandezza media degli acini, lievemente superiore al solito. In entrambe le annate le piogge non sono state di facile gestione, tuttavia sia quelle tra primavera e estate che quelle estive e autunnali, insieme ai forti sbalzi termici tra giornate calde e giornate fredde, sono state un fattore molto positivi per l’ottenimento della piena maturazione del Nebbiolo.

© 2020 Gaja – Report aziendale

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Segnalazioni| Campania bianco Donna Lucrezia 2019 AgriBeeo

14 novembre 2020

La Catalanesca è stata ufficialmente aggiunta all’elenco delle uve da vino nel 2006, l’uva arrivò sul Vesuvio importata dalla Catalogna, per volontà di Alfonso I d’Aragona nel XV secolo, impiantata perlopiù sulle pendici del Monte Somma, fra Somma Vesuviana e Terzigno.

Proprio qui, su questi terreni così fertili, di natura spiccatamente vulcanica, l’uva fu ben presto molto apprezzata e coltivata in maniera intensiva per la vinificazione in grandi quantità dai contadini vesuviani per il loro commercio di vini sfusi che da queste parti è sempre stato molto fiorente, tra l’altro, grazie alla sua spiccata dolcezza le quantità eccedenti erano spesso commercializzate come uva da tavola.

Sappiamo che oggi la sua presenza è riscontrabile nei dintorni dei comuni di Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, Ottaviano e in alcuni altri comuni vesuviani. La Catalanesca è una varietà a bacca bianca particolarmente apprezzata, molto caratteristica e resistente, tant’è che la vendemmia può spingersi generalmente sino a fine ottobre e agli inizi di novembre: un tempo vi era la consuetudine di lasciare sulla pianta i grappoli più belli, lasciandoli surmaturare addirittura fino al periodo natalizio. Il grappolo è di sovente rado, gli acini acquisiscono così un tipico colore dorato conservando però una polpa carnosa, croccante e dolce, ricca di vinaccioli.

L’uva e il vino nel progetto di valorizzazione del territorio di Vito Graniglia è solo una tessera di un puzzle assai più ricco di suggestioni tipicamente territoriali, qui in AgriBeeo si produce infatti anzitutto miele, albicocche della varietà Pellecchiella e pomodori del Vesuvio, tutti certificati Bio, dai quali si ricavano tra gli altri conserve e prodotti assolutamente unici, provenienti da una terra meravigliosa.

Questa bottiglia, la n. 1 di nemmeno un migliaio dell’annata duemiladiciannove, racchiude il lavoro di anni di cura e recupero di questo mezzo ettaro di vigne vecchie allevate con sistemi assolutamente ancestrali, legate a pali di sostegno, collocati a circa 350 mt s.l.m.; viene fuori da una vendemmia tardiva, come da tradizione, con il vino che ha fatto passaggi solo in acciaio, dove è restato per 8 lunghi mesi, prima di 4 mesi ancora in bottiglia.

Ci troviamo davanti a un vino bianco vestito di un bel giallo paglia con profondi e luminosi riflessi dorati sull’unghia del vino nel bicchiere; è delicato il profumo di fiori e agrumi, sa di ginestra e limoni, più incisivo il sentore di albicocca matura. Il sorso è morbido e asciutto, abbastanza fresco, manca forse di profondità ma la beva, piacevolissima e appagante, non da nemmeno il tempo di accorgersene.

AgriBeeo
Località Ventarielli 
Somma Vesuviana (Na) Italia
+39 347 2804242
agribeeo@agribeeo.it

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Lapio, Fiano di Avellino Clelia 2018 Colli di Lapio, Clelia Romano cala l’asso!

9 novembre 2020

”In principio ci rimase impresso il firmarsi col cognome, poi col nome. E’ un Fiano di Avellino tra i più buoni da sempre, profondo, minerale, incalzante; quei sentori che tutti conosciamo come markers identitari del Fiano li abbiamo imparati anzitutto bevendo Colli di Lapio, e non necessariamente grazie a bottiglie ‘vecchie’ e/o mature, tutt’altro”.

Con questo incipit sette anni fa circa lasciavamo traccia su questo blog di una delle più controverse bevute di Fiano di Avellino di Clelia Romano (la bottiglia recava in etichetta annata duemilacinque, leggi sotto), auspicando, già allora, che semmai vi fosse stata l’uscita di un secondo vino bianco qui ad Arianiello, che questi venisse fuori dall’esperienza e dal grande lavoro in vigna e non da ”scorciatoie” volte più semplicemente a strizzare l’occhio alla globalizzazione come talvolta accade sotto la pressione della domanda di mercato.

Ebbene, il momento sembrerebbe arrivato e noi abbiamo avuto la fortuna di berlo in anteprima assoluta, qualche settimana fa, quello che con ogni probabilità sarà il primo Cru aziendale che la famiglia Romano-Cieri ha deciso di produrre: viene fuori da un’accurata selezione in pianta di grappoli di Fiano di Avellino raccolti tardivamente nella vigna più alta della proprietà, collocata ad oltre 600 metri s.l.m., situata sempre in contrada Arianiello. Decisamente un filo pregiato per un ricamo di antica tradizione.

Si tratta di una minuscola produzione di poco più di un migliaio di bottiglie, si chiamerà ”Clelia”, doveroso omaggio alla Nostra Signora del Fiano ma soprattutto, immaginiamo, per segnare il tempo con la quarta generazione della famiglia Romano-Cieri che ben presto troverà il suo spazio in cantina. Noi la nostra idea ce la siamo fatta e senza tirare le fila a giudizi affrettati ne abbiamo parlato con loro apertamente, a voi non resta che andare in cantina per provarlo!

E’ un Fiano di Avellino decisamente buono, duemiladiciotto in perfetto stato di grazia, pronto, nella sua pienezza espressiva e con ancora tanta strada davanti; il colore si arricchisce di una ricca venatura oro sull’unghia del vino nel bicchiere, possiede un ventaglio olfattivo ricchissimo di frutta e fiori di campo, ancora di miele e piccola pasticceria, il sorso è pieno di sostanza ma ricco di tensione gustativa, il finale di bocca piacevolissimo. Il diario di Carmela Cieri, che ne ha curato personalmente la raccolta manuale di pianta in pianta, reca in calce ”finito di vendemmiare il 14 novembre”, il vino prodotto ha fatto solo acciaio e bottiglia.

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Fiano di Avellino e Greco di Tufo (anche nella versione spumante) conquistano la menzione Riserva in etichetta!

2 novembre 2020

Nella Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre 2020 sono stati pubblicati i decreti del 13 ottobre 2020 con cui il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha approvato le modifiche ordinarie ai disciplinari di produzione dei vini a DOCG Taurasi, Greco di Tufo e Fiano di Avellino.  Tra le modifiche vi sono quelle che introducono per i due bianchi di pregio irpini la categoria “Riserva” ed anche la riserva per lo spumante di Greco di Tufo, menzione questa notoriamente già detenuta dal rosso Taurasi.

Le modifiche si applicano alle giacenze di prodotti provenienti dalle vendemmie 2019 e precedenti, nonché a quelle successive a partire dal 1° novembre di ogni anno, per un tempo di affinamento non inferiore ai dodici mesi, e aventi i requisiti stabiliti dal disciplinare allegato al provvedimento legislativo.

Per lo Spumante di Greco di Tufo DOCG Riserva, il prodotto deve essere ottenuto ricorrendo esclusivamente alla pratica della rifermentazione in bottiglia secondo il metodo classico.

Proprio questa estate abbiamo dedicato tante passeggiate alla riscoperta dell’Irpinia e camminato tantissime vigne dei territori del Fiano di Avellino, del Greco di Tufo e del Taurasi, degustando e scrivendone di gusto, siamo davvero felici di questo scatto in avanti che auspichiamo serva da slancio per questi vini straordinari e questa terra unica, vieppiù per lo spumante metodo classico da Greco che merita sicuramente palcoscenici di grande ribalta! [A.D.]

La domanda di modifica dei disciplinari fu presentata tre anni or sono per il tramite della Regione Campania su istanza del Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia, in conformità con la procedura prevista dal decreto ministeriale 7 novembre 2012.

Le modifiche di competenza nazionale sono state in questa tornata approvate, mentre quelle di rilievo comunitario proseguiranno l’iter secondo prassi.

Membri del Consiglio di Amministrazione e soci del Consorzio si sono impegnati, anche con la collaborazione della Regione Campania, affinché si conseguisse questo importante risultato, che premia in particolare la straordinaria longevità dei nostri due bianchi, al fine di rafforzare la percezione dei valori della filiera vitivinicola irpina.

Il Consorzio auspica che questo primo obiettivo, in uno con gli sforzi che gli operatori irpini compiono quotidianamente a sostegno e nel nome del prestigio delle nostre produzioni, contribuisca ad accrescere la reputazione e il valore dei vini d’Irpinia, soprattutto in un momento così delicato e incerto.

Ogni sforzo compiuto in questi anni, d’altronde, è stato convergente verso il primario obiettivo di favorire lo sviluppo di un’agricoltura attenta alla qualità e autenticità delle produzioni e alla salvaguardia dell’ambiente e del territorio, nel nome di un’Irpinia sana e vera. In tale direzione proseguirà anche in futuro l’azione strategica del nostro sodalizio.

Fonte Consorzio Tutela Vini di Irpinia

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La vendemmia del Piedirosso dei Campi Flegrei è alle porte…

6 ottobre 2020

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Segnalazioni| La crisi reclama nuove idee

8 settembre 2020

Riprendiamo e pubblichiamo la lettera aperta di Angelo Gaja apparsa su Seminario Veronelli¤; il grande produttore di Barbaresco, di cui spesso e ben volentieri su L’Arcante abbiamo lasciato traccia dei suoi straordinari vini e raccontato il suo modo di vedere il mondo del vino da un’angolatura certamente particolare con, tra l’altro, alcune Chiacchiere Distintive – leggi Qui – che hanno fatto decisamente la storia di queste pagine.

di Angelo Gaja

Nei mercati internazionali il futuro prossimo del vino è tutt’altro che roseo, avendo le aziende vitivinicole d’ogni continente enormi giacenze di prodotto. Che fare? In attesa di tornare alla normalità, occorrono idee nuove: utilizzare solo ed esclusivamente gli strumenti del passato non sarà di grande giovamento. E se fosse il 2021 la continuazione dell’anno orribile del vino italiano? Le premesse non mancano.

In Italia si suonano le trombe per la vendemmia 2020 che promette di essere la più ricca di uva al mondo. Non è un primato invidiabile in presenza di una crisi dei consumi senza precedenti che si abbatte su tutti i mercati e coinvolge tutte le cantine del mondo gonfiandone le giacenze. Per fronteggiare la quale la ministra Bellanova aveva stanziato misure di distruzione dell’uva e del vino (distillazione) finanziabili con 150 milioni di euro di denaro pubblico, giunti però in ritardo e utilizzati appena per un terzo. 

L’errore non è affatto della Bellanova, bensì dei suggeritori esterni che fanno capo ad associazioni varie e presenziano alle tavole di concertazione. Quelli che dapprima non volevano sentire parlare di distillazione, per poi concederla ai soli vini da tavola, mentre ad averne necessità sono i vini IGP e DOP. Quelli che preferivano misure in favore dello stoccaggio, incoraggiando ad accumulare scorte in cantina confidando nella rapida fine della crisi e pronta ripresa dei consumi, che invece non ci saranno e si prolungherà l’agonia. Quelli che avanzavano mille riserve, rallentando e rendendo intempestiva l’entrata in vigore delle misure di intervento pubblico facendole perdere di efficacia. 

Il comparto del vino conoscerà una crisi più lunga legato com’è all’Ho.Re.Ca e al turismo. Fino ad ora è stata una pioggia di numeri reali-stimati-probabili-farlocchi, anche da fonti autorevoli, a commentare il procedere della crisi. Solo a fine anno si conosceranno le giacenze totali di vino nelle cantine italiane e si attendono pessime notizie in merito. 

Sempre a fine anno, a fronte del preoccupante calo in volume, si registrerà il più drammatico e vistoso calo in valore dell’export del vino italiano. A piangere saranno i fatturati. Quando nella primavera 2021 verranno resi pubblici i bilanci delle mega cantine italiane e verranno svelati i numeri veri, si evidenzierà che per molte di esse le perdite di fatturato rispetto al 2019 supereranno il 20%. 

A perdere di più, però, saranno i viticoltori venditori di uva e le cantine artigianali dalle dimensioni piccole e medio piccole, il settore più numeroso e fragile. È a questi che la ministra Bellanova deve pretendere di destinare maggiori risorse durante il confronto che condurrà con i suggeritori esterni. 

In questo momento di grave emergenza occorrono misure straordinarie. La prima preoccupazione deve essere quella di cercare di riequilibrare il mercato dando la priorità a un ampio-e-mai-visto-prima progetto di distillazione che includa anche i vini IGP e DOP, da avviare subito per consentire il recupero già entro il 2020 dei quasi 100 milioni non spesi nella misura precedente, per poi concluderlo nel 2021. Prendendo ispirazione da quanto saggiamente aveva già fatto prima di noi la Francia. 

Sarebbe utile inoltre introdurre in Italia per i prossimi due-tre anni il divieto di impiego del Mosto Concentrato Rettificato, che costituisce per chi ne fa uso l’incentivo per eccellenza a produrre maggiori volumi di uva in vigneto.

Bene la richiesta di maggiori finanziamenti per la promozione consentendone l’accesso anche ai progetti di investimento contenuto. Non scordando che, nei prossimi due-tre anni, sarà baraonda sui mercati internazionali perché le cantine di tutto il mondo avranno il vino che uscirà loro dalle orecchie e saranno sui mercati per cercare di collocarlo. Occorrono idee nuove, pensare di utilizzare solamente gli strumenti del passato non sarà di grande giovamento prima del ritorno alla normalità. 

© Angelo Gaja, tratto da Seminario Permanente Luigi Veronelli¤.

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Lapio, storica verticale di dieci annate di Fiano di Avellino di Rocca del Principe

26 agosto 2020

Rocca del Principe nasce nel 2004, sino ad allora la proprietà familiare conferiva le proprie uve, come spesso accadeva da queste parti, a terzi produttori imbottigliatori; così Ercole Zarrella, sua moglie Aurelia Fabrizio ed il fratello Antonio decisero di mettersi in proprio e puntare dritto nel produrre Fiano di Avellino, Aglianico e Taurasi che esprimessero al meglio una precisa loro idea di vini di territorio.

Oggi, a distanza di più di tre lustri, Rocca del Principe offre davvero un piacevole colpo d’occhio a chi arriva qui a Lapio, la cantina è proprio sulla strada provinciale Appia, in Contrada Arianiello, conta all’incirca 10 ettari di proprietà dei quali 6 coltivati a Fiano e più o meno 1,5 ad Aglianico. Le vigne del Fiano sono tutte allocate proprio lungo il colle Arianiello, la parte più alta (e suggestiva) di Lapio che rappresenta, non solo per gli appassionati, una delle zone in assoluto più vocate in regione alla coltivazione di Fiano di Avellino, possiamo dire un vero e proprio Grand Cru della denominazione.

I primi impianti risalgono in larga parte al 1990, con alcuni reimpianti del 2014, collocati su due versanti opposti del colle, a Nord e a Ovest. Il vigneto di Aglianico insiste invece in contrada Campore, anche questo da annoverare tra i luoghi di maggiore vocazione del territorio per il Taurasi, posto a 500mt s.l.m. con esposizione Sud/Est, su terreni caratterizzati soprattutto da marne argillose e calcaree, areale questo qui a Lapio dove l’Aglianico è sempre stato coltivato con grandi risultati prima di lasciare strada alla vasta diffusione del Fiano, vitigno che anche qui ha rischiato seriamente di scomparire del tutto prima di essere riportato a nuova vita, a partire dalla fine degli anni ’70, sulla spinta del grande successo commerciale delle bottiglie prodotte dalla famiglia Mastroberardino.

Qui la diversità dei terreni è fondamentale, la loro differente composizione incide in maniera molto particolare sul vino che ci arriva nel bicchiere. Parte degli ettari di Fiano, circa 4 e mezzo, sono collocati tra la parte più alta della proprietà a 600mt s.l.m. del versante nord di Contrada Arianiello, sino a degradare ai 550mt di Contrada Tognano, dove godono di un clima più fresco e ventilato con escursioni termiche decisamente più accentuate rispetto al circondario della docg. I terreni di questa zona poi sono più sciolti, caratterizzati da chiare origini vulcaniche, costituiti da uno strato superficiale di limo, sabbia, arenarie e lapilli e solo in profondità da argilla; una caratteristica che permette al suolo di trasmettere umidità anche nelle annate più calde, non a caso i vini prodotti in questa zona sono generalmente più fini ed eleganti ma anche più ricchi in acidità, nonché capaci di donare sensazioni minerali più accentuate.

La restante parte di Fiano è collocata sul versante Ovest sempre di Contrada Arianiello e in Contrada Lenze, entrambi a circa 570mt sul livello del mare. Da questa parte il microclima è generalmente più caldo ed asciutto ed il terreno più compatto, perlopiù di natura argillosa-calcarea con marne argillose in evidenza. I vini provenienti da questa zona sono di solito più ricchi, fruttati e morbidi.

I vini ottenuti dai due versanti confluivano generalmente in unico Fiano di Avellino, almeno sino al duemilaquattordici, da quando, dopo un’attenta analisi e più di un exploit in termini di espressione massima, si è cominciato a mettere in bottiglia una seconda etichetta con le sole migliori uve provenienti da Tognano, ma di questo ve ne parleremo più dettagliatamente in un prossimo post.

Presto invece ci sarà spazio per un nuovo piccolo Cru, il Fiano di Avellino Neviera, che abbiamo provato in anteprima, frutto di una intelligente e sapiente lettura di una piccola parte del raccolto duemiladiciannove da parte di Simona Zarrella, la giovane enologa di casa, allieva di Luigi Moio¤, già pienamente a suo agio nella cantina di famiglia. E’ un bianco molto interessante, fitto, ampio e complesso, che uscirà probabilmente tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022; le uve provengono da una parcella collocata dove una volta qui a Lapio c’era una neviera, precisamente una conca, ora vitata, che un tempo serviva per l’accumulo delle precipitazioni nevose che, grazie alla particolare connotazione rocciosa dei terreni e alla fitta vegetazione boschiva, riuscivano a conservarsi fin quasi alla fine del periodo estivo. 

Prima di lasciare spazio alle note descrittive dei vini assaggiati, corre l’obbligo di una doverosa premessa: sono tutti vini bianchi di straordinaria fattura, luminosi, verticali, precisi, spesso trasversali, in certe annate infiocchettati a dovere ma comunque buonissimi a bersi nonostante la giovane età. Sono questi vini dove c’è dentro tutta la forza di una terra straordinaria, c’è l’ebbrezza dello spazio infinito sopra Lapio, vissuto senza un filo di vertigini, c’è il sole riflesso sul pelo sull’acqua che non c’è ma se ne sente il fragore, quella calda sensazione che si colloca con precisione millimetrica nel sapore mediterraneo di un Fiano di Avellino avvenente, sferzante, balsamico e sapido, non a caso, sin dagli esordi, tra i migliori in circolazione.

****/* Fiano di Avellino 2019. L’ultimo nato, decisamente verticale e pieno al sorso. Il colore è paglia luminoso, ancora ”verde” sull’unghia del vino nel bicchiere, il corredo aromatico è particolarmente avvenente, floreale e fruttato, vengono fuori fiori d’arancio e litchi, ma anche kumquat e camomilla; l’annata pare offrire tanto equilibrio, ripreso dopo 1 ora, al riassaggio, tira fuori tanta più materia soprattutto al palato, è secco, fresco e sapido.

****/* Fiano di Avellino 2018. Di colore paglia, bello a vedersi, al naso è subito caratterizzato da sentori floreali e fruttati molto fini, ancora fiori d’arancio, poi agrumi (mandarino), degli accenni di frutta secca e balsami, erbe di montagna. Il sorso è asciutto, piacevolmente fresco e sapido, con una buona persistenza gustativa. E’ forse un vino più orizzontale, nonostante l’annata sia stata fresca, ma in questa fase appare infatti distendersi più in larghezza.

**** Fiano di Avellino 2017. Annata calda la duemiladiciassette, torrida per certi versi, l’impronta olfattiva risulta un tantino monocorde. Il colore conserva un bel giallo paglierino, qui le sensazioni fruttate sembrano ben mature, vi si colgono susina e pera, un piccolo accenno salmastro. Il sorso è secco, morbido, possiede buona persistenza aromatica e fruttata.

***** Fiano di Avellino 2016. Si conferma la duemilasedici l’annata della gioia qui a Lapio, annata fresca che richiama alla mente vini tipicamente mediterranei: il colore è paglia con riflessi oro appena accennati, il naso è ricco, voluttuoso, è floreale, fruttato, iodato, il frutto lascia subito spazio alla terra, svelando rimandi di frutta secca e spezie, dello zenzero candito. Nessuna concessione al tempo, sembra appena sbocciato, esempio di come il Fiano, più di ogni altro bianco campano, negli anni, sia capace di mutare lasciandosi alle spalle i tratti più immediati del varietale per lasciare spazio al carattere minerale più complesso e identitario che lo lega indissolubilmente al suo straordinario territorio.

**** Fiano di Avellino 2015. E’ stata una annata di sacrifici la duemilaquindici, appena 45 quintali di resa per ettaro portati in cantina. Resta un bianco di grande equilibrio olfattivo e gustativo. Annata calda, non eccessivamente, ma calda. Il colore conserva quello splendido giallo paglierino luminoso, nel bicchiere ci arriva un vino dal corredo aromatico finissimo ed elegante, aristocratico, è il primo della batteria dal quale cogliamo sensazioni di idrocarburi. Il sorso è secco, caldo, di lunga persistenza e piacevolezza di beva. In etichetta risalta il 14% di alcol in volume.

**** Fiano di Avellino 2014. Ne apriamo un paio, la prima ha qualche problema di sughero, a quel tempo in effetti ci fu qualche impasse con la scelta dei tappi, ci tiene a precisare Ercole Zarrella che ci accompagna nella splendida degustazione. Ci troviamo di fronte ad un grande bianco, intessuto di pienezza e complessità, ricchezza di frutto e tanta sostanza, sembra un bianco di Meursault senza il legno di Meursault. Impegnativo come confronto? Per niente! Di colore paglierino-oro, all’olfatto viene fuori immediatamente la matrice fruttata e speziata, poi la generosa terra, anche note salmastre e terziarie di lievi note di idrocarburi. Non è forse il vino che meglio rappresenta lo stile dei Fiano di Avellino di Rocca del Principe, eppure ci regala una gran bella bevuta.

****/* Fiano di Avellino 2013. Colore imperterrito, nessuna concessione al tempo, paglia-oro luminoso. Vi è in questo vino una dicotomia precisa, c’è un naso intenso, verticale, anzitutto fruttato e balsamico mentre il sorso, pur conservando una certa freschezza e piacevolezza, resta circoscritto e contratto. Buonissimo a bersi ora, ritroviamo il 13% in volume in etichetta.

**** Fiano di Avellino 2012. La longevità di questi vini non sorprende più ovviamente, rimarchevole il grande equilibrio che viene fuori dopo qualche anno di bottiglia, come la finissima tessitura di un bianco di 8 anni che si presenta così in splendida forma. Il colore è perfetto, nessuna dimostrazione di segni di stanchezza, come il naso, subito floreale, poi fruttato maturo, appena empireumatico. Il sorso è coinvolgente e fresco, ha stoffa, è sapido e di buona persistenza aromatica, è da annoverare tra quei vini di cui non smetteresti mai di godere.

***** Fiano di Avellino 2011. Con il duemilasedici il migliore della batteria, magari appena una spanna sotto, senza voler contare gli anni alle spalle. Resta un grandissimo vino! Con tanto frutto e sostanza dentro, c’è terra e sole, come la ’13, la ’16 e la ’18 anche la duemilaundici è stata un’annata di grande equilibrio. Bellissimo il colore paglia-oro, luminoso, il naso è profondo e complesso, un sorso stilla millemila piacevoli sensazioni gustative. Un grande Fiano di Avellino questo di Ercole Zarrella, di quelli che non finiresti mai di bere, offrire, in qualsiasi momento, occasione, abbinamento.

**** Fiano di Avellino 2010. Non è semplice avvicinarsi a certi bianchi senza rimanerne colpevolmente distanti, è qui che con ogni probabilità si comincia a sorseggiare l’anima più ancestrale dei vini di questa terra, dove si coglie l’esperienza del giovane vignaiolo che inizia a ”saper leggere” le sue vigne e la sua terra ben oltre il manico suggerito. Proprio a partire da qui, seppur lievemente, si fanno spazio certi aromi tostati e affumicati tipici di alcuni Fiano di Avellino, di questi territori in particolare, con espressioni molto riconoscibili del varietale e del terroir lapiano, un timbrica votata al minerale che conduce subito a iodio, note fumé e più in generale a idrocarburi.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

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Itri, l’Abbuoto Filari di San Raffaele 2018 di Monti Cecubi

17 agosto 2020

Una bottiglia di vino per quanto sconosciuta deve suscitare curiosità, rendere piacevole un momento, lasciare un buon ricordo di se, al di là del prezzo segnato in carta, sta poi al palato più attento, all’appassionato cogliere l’opportunità di una nuova scoperta.

E’ sostanzialmente questo il motivo che ci ha spinti sin quassù nelle campagne di Itri, alla ricerca di Monti Cecubi, così recava in etichetta una seducente Falanghina bevuta alla tavola di un ristorante a Fondi qualche sera prima. Ci siamo trovati davanti una piacevole scoperta, un piccolo gioiello incastonato in mezzo alla terra rocciosa, circondato da vigne nascoste tra ulivi e boschi secolari e foreste di sughere, appena sopra la costa di Sperlonga.

L’azienda è rinata nel 1990 grazie alla famiglia Schettino di S.M. Capua Vetere, conta ben 150 ettari, di cui almeno sei di uliveto e venti di vigneto collocati in larga parte qui a Itri e poco più in là verso Fondi. Vi si coltivano diversi varietali, alcuni introdotti proprio nel ’90, per provarne il potenziale colturale, come ad esempio Montepulciano, Vermentino, Fiano e Falanghina, altri erano già presenti in queste terre con vigne vecchie di impianti risalenti al secondo dopoguerra, ceppi con i quali, in alcuni casi, si è provveduto a selezioni clonali mirate, come nel caso di alcune varietà come l’Uva Serpe e l’Abbuoto, uve a bacca nera già anticamente protagoniste del ”Vinum Caecubum” prodotto in quest’area in epoca romana.  

L’Abbuoto è stato ufficialmente censito nel Registro Nazionale delle Varietà di vite con pubblicazione del decreto di ammissione sulla Gazzetta Ufficiale n. 149 del 17.06.1970 e in seguito inserito dalla Regione Lazio nella pubblicazione dell’A.R.S.I.A.L. delle “Varietà Locali Tutelate”, ovvero “Risorse genetiche sotto tutela” ai sensi della Legge Regionale 1 marzo 2000 n. 15. E’ un vitigno originario proprio di questo areale che va dalle campagne di Fondi sino alle zone della piana racchiusa dalla corona dei Monti Ausoni e Aurunci, sino in Campania. Il grappolo ha dimensioni medie grandi, semi-serrato, di forma cilindrica-conica, a volte con una o due ali. L’acino, grande e sferico, ha buccia spessa e pruinosa, di colore violaceo. La foglia, grande anch’essa, è pentalobata, di colore verde chiaro.

Qui a Monti Cecubi si parla chiaramente della rinascita del vino Cecubo, il vino rosso molto pregiato e parecchio apprezzato dai Romani che secondo il racconto di Plinio si produceva proprio da queste parti in areale pontino – “Caecubae vites in Pomptinis Paludes madent…“ – e le cui vigne si trovavano nella zona “… supra Forum Appii”, proprio quel territorio che dall’attuale Formia, si estendeva fino alle attuali Fondi e Terracina.

L’Abbuoto di Monti Cecubi proviene proprio dalle vigne di San Raffaele di Fondi, dove la terra bruna e rocciosa della dorsale itrana si arricchisce di argilla e sostanza organica e contribuisce, con l’esposizione, l’influenza del mare, l’escursione termica a produrre un vino intenso, fresco e particolarmente suggestivo, che troviamo molto buono con questo duemiladiciotto, un Lazio igt di cui sono state prodotte circa 6000 bottiglie! E’ un rosso di colore amaranto, pieno e vivace, con sentori di melograno, prugna e altri piccoli frutti neri in primo piano, sa anche di caffè e cioccolato, è lievemente balsamico. Il sorso è fresco e piacevolmente sapido, 13% di alcol in volume in etichetta, ben misurato il passaggio in legno che consegna al palato un tannino vellutato, nessuna spigolatura, solo tanto frutto ed un finale di bocca piacevolmente succoso. Di quei rossi da bere alla giusta temperatura, intorno ai 14°, per goderselo appieno!

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Torna Campania Stories, dall’1 al 4 Settembre a Paestum

16 agosto 2020

L’Italia del vino riparte dalla Campania: è ”Campania Stories” il primo evento dedicato alla stampa specializzata nazionale ed internazionale ad essere programmato ed organizzato nel post-emergenza e a svolgersi in presenza. Un format rinnovato per dare modo ai giornalisti italiani, europei ed oltreoceano di degustare le nuove annate dei vini della regione, ma anche di scoprire i territori attraverso visite ed iniziative.

Dall’1 al 4 settembre 2020, dunque, si terrà la nuova edizione della rassegna promossa da Miriade & Partners e dalle circa 80 aziende partecipanti, in collaborazione con AIS Campania e con il sostegno della Regione Campania, che anche per questa edizione ha sposato in pieno lo spirito dell’evento, dando voce alle esigenze del comparto in termini di valorizzazione e di promozione, e con la Media Partnership di Luciano Pignataro Wine Blog. Main Sponsor di Campania Stories 2020 è il Gruppo Acanfora Hotels & Resorts, con strutture a 4 e 5 stelle sulle spiagge dorate della costa del Cilento, con elevati standard qualitativi, grandi spazi di design interni ed esterni, piscine e servizi di alto livello: Mec Paestum Hotel, Hotel Cerere Paestum, Olimpia Cilento Resort, Paestum Inn Beach Resort.

Continuate a leggere sul sito di Campania Stories per ricevere tutti i dettagli della manifestazione e maggiori informazioni per gli operatori e gli appassionati del settore.

Campania Stories è un progetto di

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Diana Cataldo – tel. 329.9606793

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Cetara, il profumo del mare, le alici, la Colatura di Nettuno e Al Convento con Pasquale Torrente

30 luglio 2020

Cetara è sempre stato un piccolo paese di pescatori, non a caso tra le origini del suo nome vi è certamente il termine latino ”Cetaria”, ovvero tonnara, per gli abitanti ”Cetari”, venditori di pesci grossi. Anni di ricerche hanno ipotizzato anche che il suo nome derivi dal termine ”Caeditaria”, cioè “pertinenza della Caedita”, luogo disboscato. Ancora, lo si avvicina al termine ”Citrus”, ossia limone, da diversi secoli coltura importantissima qui come altrove in tutta la Costiera Amalfitana.

Cetara però è conosciuta nel mondo per le sue alici, vieppiù per la Colatura, come quella prodotta qui in questo piccolo laboratorio di C.so Umberto I. Nettuno è stata fondata nel 1950 da Raffaele Giordano, l’attività principale a quel tempo era la trasformazione dei prodotti ittici e ortofrutticoli, questi ultimi abbandonati agli inizi del 2000 per dedicarsi completamente ai prodotti offerti dal mare di Cetara, lavorati fin dagli anni ’50.

A metà degli anni ’90 infatti c’è stata una forte riscoperta dell’antico condimento principe delle tavole di Cetara, la Colatura di alici, che con il passare degli anni torna alla notorietà persino nazionale. Così buona parte degli sforzi dei Giordano si concentrano su questo prodotto, senza mettere in secondo piano, però, tutti gli altri prodotti ittici che ne caratterizzano la filiera interamente lavorata a mano e con materie prime esclusivamente del posto.

La Colatura, dicevamo. Un condimento dalle origini orientali che prende il nome dal misterioso pesce “Garos” (forse si trattava proprio delle comunissime alici), da qui, probabilmente, si è arrivata a quella che gli antichi greci chiamavano “Garon”, che i romani ribattezzarono “Garum”. Invero da qui alla “Colatura di alici di Cetara” come la intendiamo oggi c’è tanta strada fatta, sino a quando, intorno alla seconda metà del XIII secolo, furono i monaci Cistercensi della canonica di San Pietro a Tuczolo, colle nei pressi di Amalfi, ne cominciarono a fare un prodotto da commerciare¤.

I monaci si muovevano abitualmente in costiera con le loro barche che utilizzavano per il trasporto del frumento e che nei mesi estivi adattavano per la pesca del pesce azzurro, in particolare delle alici. Le abbondanti quantità del pescato andavano in qualche maniera stipate e conservate nel tempo, riponevano perciò le alici in botti private della testa e delle interiora, alternate a strati di sale. Sulla copertura della botte riponevano un pesante masso che permetteva al liquido in eccesso di depositarsi sul fondo del barile e attraverso le doghe scollate di versarsi sul pavimento. Il profumo e la limpidezza di questo liquido che colava sul pavimento indussero i monaci a raccoglierlo in recipienti e a portarlo all’attenzione del fratello che si occupava della cucina, il quale immediatamente ne provò l’utilizzo come condimento per le verdure, aggiungendovi all’occorrenza spezie, aromi e olio.

Questo nuovo condimento cominciò a circolare nei dintorni della Costiera, come dono ai conventi e a molti cittadini della zona, vi fu chi tentò di replicare la preparazione per conto proprio in casa sino a quando qualcuno ebbe l’intuizione di usare il cappuccio comunemente adoperato per stillare il mosto d’uva, per filtrare anche i liquidi e le alici spappolate residuati nei fondi dei vasi di terracotta, dando così il via alla nascita della Colatura di alici, più o meno come quella prodotta attualmente.

Il processo si può dire sia rimasto invariato, assolutamente ancestrale: le alici fresche appena pescate vengono “scapezzate” cioè decapitate ed eviscerate e sistemate in un contenitore di legno detto “terzigno” (un terzo di una botte) a strati alterni con il sale. Sull’ultimo strato viene appoggiato un coperchio di legno detto “tompagno” sul quale viene posata una pietra massiccia, in genere di origine marina. L’odore acre, fortissimo, che si sprigiona dalle camere di maturazione sono un segno distintivo di una cultura radicata straordinaria, che ha segnato la storia di questa comunità e che promette di rimanerti dentro anziché addosso! 

Pasquale Torrente, l'uomo che sussurra alle alici - foto A. Di Costanzo

Si lasciano così maturare le alici per almeno 12-18 mesi, si può arrivare anche ben oltre, in qualche caso. Giunte a maturazione, il liquido affiora in superficie grazie alla pressione esercitata dalla pietra. Con un attrezzo appuntito detto “vriale” viene praticato un foro sotto il ”terzigno” dal quale comincia ad uscire, goccia dopo goccia, il nettare ambrato. Attraversando lentamente i vari strati, il liquido raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche delle alici e fuoriesce, già filtrato dagli stessi strati di alici e sale, dal foro praticato. La colatura viene raccolta in un recipiente di vetro e quindi imbottigliata, generalmente in piccole ampolle di 100 e 200 ml, sino al litro.

Un un prodotto così prezioso, unico e straordinario non poteva che beneficiarsi di grandi ambasciatori che hanno fatto sì che la Colatura di alici di Cetara arrivasse ovunque in Italia e nel mondo grazie al suo corretto utilizzo in cucina. Tra questi, vi è senza dubbio lui, Pasquale Torrente, ”l’uomo che sussurra alle alici”, così definito per la sua completa devozione per la riscoperta e valorizzazione di quest’antica tradizione cetarese e questo prodotto così particolare, avviato finalmente al riconoscimento della Dop.

La famiglia di Pasquale occupa questo luogo, Al Convento a Cetara, sin dagli anni 60, quando i nonni Gilda e Gaetano lo hanno prima allestito come sala da gioco, per poi  farne un bar, gelateria e poi una Trattoria e Pizzeria, sin da subito apprezzatissima. Un percorso che ha seguito e segnato la storia famigliare fino a quando proprio Pasquale ne ha fatto un avamposto di cucina tradizionale e rampa di lancio per la Colatura, con i suoi piatti e i progetti che l’hanno portato, con la fortunata collaborazione di Eataly, a girare luoghi e paesi e raccontare di Cetara, del profumo del suo mare, le alici, la colatura e la sua idea di cucina in tutto il mondo, mantenendo però l’ombelico qui, a Piazza S. Francesco a Cetara, oggi con al fianco il figlio Gaetano.

Al Convento ci si viene per nutrire soprattutto l’anima, questo basti per raccontare l’atmosfera d’altri tempi che ne caratterizza l’accoglienza gioiosa di Pasquale e della sua famiglia, la buona cucina di mare che scorre in tavola, vivace, piatto dopo piatto. Le alici anzitutto, quelle locali, al massimo del Golfo di Salerno: marinate, sott’olio, impanate e fritte, imbottite, poi lo spaghetto alla Colatura, gli Ziti alla Genovese di Tonno, infine il pescato del giorno, tra Gallinelle, Triglie, Merluzzi serviti all’acqua pazza, fritti o lessati, al vassoio, con le verdure di stagione ripassate o alla griglia. Sono questi i sussurri che conducono alla piena felicità!

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Informazioni ed indirizzi utili:

Ditta Giordano Vincenzo, marca Nettuno

Corso Umberto I, 64 84010 Cetara (SA)

http://www.nettunocetara.it

Tel. +39 089 261147

Ristorante Al Convento

Piazza S. Francesco, 16, 84010 Cetara (SA)

http://www.alconvento.netinfo@alconvento.net

Tel. +39 089 261039

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Segnalazioni| Barolo MGA di Masnaghetti è on line!

23 giugno 2020

Chiunque abbia un briciolo di passione per il mondo del vino ama il Barolo e i territori da dove proviene questo straordinario rosso italiano.

Chiunque abbia avuto anche un solo briciolo di curiosità in più si è sin da subito affidato nelle mani di Alessandro Masnaghetti per orientarsi e imparare, scoprire ad esempio le 170 Menzioni Geografiche Aggiuntive ufficiali (MGA o Me.G.A., ndr), divorando ogni uscita di Enogea e collezionando le mappe del piacere enoico aggiornate costantemente negli anni. Un lavoro enorme e prezioso, imperdibile!

Oggi tutto questo è anche on line (in parte free): lo trovate qui www.barolomga360.it.

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Aspi at home, i corsi on line dell’Associazione della Sommellerie Professionale Italiana

22 Maggio 2020

Dal 16 Giugno proseguono gli appuntamenti #sommelierathome con ASPI, con 3 interessantissimi incontri sulla Campania, i suoi territori e i suoi vitigni, con alcuni tra i più apprezzati protagonisti del vino e il nostro Angelo Di Costanzo.

Durante gli incontri verrà degustato un vino che rappresenta le tipicità del vitigno o del territorio oggetto della lezione, con l’intervento in diretta anche del produttore. L’iscrizione da diritto a:

3 incontri sulla Campania
3 bottiglie comodamente a casa tua
Streaming con il sommelier Angelo Di Costanzo e 3 produttori
Attestato di partecipazione al termine del minicorso
Uno speciale gadget ASPI per ogni partecipante

16 Giugno – ore 20.30 – I Campi Flegrei, dove nascono i vini del vulcano. Alla scoperta di una delle aree viticole più suggestive della provincia di Napoli, dove nascono vini particolarmente autentici prodotti su sabbie vulcaniche e da vigne a piede franco, in un contesto di grande valore storico e culturale. Degustazione di Falanghina Campi Flegrei Settevulcani con il produttore Salvatore Martusciello.

23 Giugno – ore 20.30 – Falerno del Massico, duemila anni di storia sulla bocca di tutti. Il grande vino della provincia di Caserta, che può essere senz’altro annoverato come il primo vino doc della storia. Un viaggio immersi in un territorio unico e particolare, dalle tante anime. Degustazione di Falerno del Massico Ariapetrina di Masseria Felicia con la produttrice Maria Felicia Brini.

30 giugno – ore 20.30 – Il Greco di Tufo, il grande bianco dell’Irpinia. Caratteristiche di un territorio straordinario, situato nel cuore dell’Irpinia e di un vino prodotto in soli 8 comuni del circondario di Tufo da cui la docg prende il nome, un vino moderno e proiettato nel futuro. Degustazione del Greco di Tufo Cutizzi di Feudi di San Gregorio con il produttore Antonio Capaldo.

Non perdete questa occasione di avere un sommelier ed un produttore a casa vostra, fate domande, soddisfate le vostre curiosità affidandovi ai professionisti per il migliore approccio al vasto e meraviglioso mondo della Sommellerie italiana.

Iscrivendovi a questo percorso alla scoperta dei territori e dei vini della Campania riceverete comodamente a casa le tre bottiglie che degusterete insieme, in diretta, con il sommelier e il produttore. Questo percorso ha un costo di 85€ (75€ per i soci ASPI in regola con la quota annuale) e iscriversi é molto semplice, basta mandare una mail a info@aspi.it. Ad iscrizione confermata, vi verrà fornito il link da cui potrete seguire la diretta con l’app Zoom.

Non perdete questo speciale approfondimento sulla Campania e continuate a seguire ASPI – l’Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, sono in arrivo altri interessanti appuntamenti con gli hashtag #sommelierathome #aspi #sommelier #formazioneonline.

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25 Aprile 2020, io resto libero

25 aprile 2020


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Riprenderci il passato per conquistare il futuro

12 aprile 2020

Non sono mancate nelle ultime settimane innumerevoli analisi e teorie alla base di questa tremenda emergenza sanitaria mondiale dentro la quale sembrano essersi smarrite tutte le certezze e le sicurezze che ognuno, ovunque nel mondo, sembrava certo di poter mantenere indipendentemente da cosa accadesse in giro nel mondo.

Sino a che non mi tocca, non mi riguarda, si pensava. Così non è, così non è mai stato. Si è fatto quindi largo sin dalle prime battute un grande spirito di ottimismo, #andràtuttobene è diventato velocemente lo slogan dietro al quale tutti, ovunque in Italia e negli altri paesi colpiti dal Covid-19, ci siamo velocemente ritrovati, uno slogan dal suono matrigno, quasi ancestrale: un hashtag, tre parole tre, unite da un grande arcobaleno e piene di significato.

Ma andrà-tutto-bene? Ecco, restando a quel che più ci compete e ci appassiona, parliamo di vino e cibo da queste parti, senza entrare nel merito economico e politico, men che meno in quello sanitario visto il numero di analisti, statisti e scienziati che sin dalle prime battute di questa emergenza hanno visto bruciare i loro studi, le loro proiezioni, le loro certezze in men che non si dica, mi piacerebbe, più semplicemente, riportare su queste pagine una personale breve riflessione, ma non su quello che ci aspetta domani – davvero si pensa che ci sia qualcuno capace realmente di farlo? – bensì su come ci siamo potuti ritrovare a questo punto, a questo preciso momento storico, evidentemente nudi davanti alla realtà.

In principio l’obiettivo era proporsi al mercato, conquistare spazio, con qualità e professionalità. Un vino con una storia da raccontare, quel vitigno unico, un territorio preciso, le persone giuste, le storie famigliari. Un prodotto o un cibo da preservare, promuovere a nuova vita, rilanciare la sua storia, il valore della sua tipicità, delle persone capaci di tramandarne la tradizione. Così un posto, un’Azienda, un Negozio, una Trattoria, un Ristorante, un’Osteria, una Pizzeria con delle idee chiare nel costruire una storia, un piano di sviluppo, un progetto da seguire per affermare dei valori concreti e non, soltanto, dei numeri, avevano tutti, ognuno, il proprio spazio dove proporsi sul mercato, dove costruire relazioni, legami, il proprio futuro.

Poi è arrivata la globalizzazione, non una parola qualsiasi ma quel fenomeno basato sull’intensificazione degli scambi e degli investimenti internazionali su scala mondiale che, a partire dalla fine del XX secolo è diventato un mantra tanto inarrestabile dal creare sempre maggiore interdipendenza tra le economie nazionali ma anche e soprattutto sociali, culturali, politiche e tecnologiche con i suoi innumerevoli effetti positivi ma anche, inevitabilmente, con enormi strascichi negativi sul breve e lungo termine.

Abbiamo così inseguito la velocità delle comunicazioni e della circolazione delle informazioni, una nuova grande opportunità di crescita per chiunque avesse carte da giocarsi, e da un punto di vista strettamente economico un trampolino di lancio incredibile per alcuni paesi a lungo rimasti ai margini dello sviluppo economico mondiale, vedi ad esempio proprio paesi come la Cina o l’India, con benefici sostanziali di cui poi tutti abbiamo potuto godere direttamente o indirettamente, vedi la riduzione dei costi di tantissimi prodotti grazie all’incremento della concorrenza commerciale da questo momento da considerare su scala planetaria.

Abbiamo però continuato a trascurare gli aspetti negativi, sottovalutandoli, e probabilmente continueremo a farlo: lo sfruttamento, il degrado ambientale, l’aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, in qualche caso la riduzione delle sovranità nazionali e le autonomie delle economie locali. La sovrabbondanza di conquiste ci ha talmente abbagliati che non ci ha fatto cogliere a pieno il reale costo della cessione di tutte queste libertà, un eccesso di fiducia in questa straordinaria onda economica che più che renderci sazi ci ha resi obesi e ciechi.

Sul tema strettamente enogastronomico le influenze e le deficienze sono sotto gli occhi di tutti. Il vino ha vissuto momenti di grande slancio economico rilanciando interi territori, creandone dei nuovi e affermando nuove tendenze, qui l’eccesso è stato però puntare a stravolgere ben oltre quanto sia stato valorizzato, con molti protagonisti votati più a fare e imbottigliare di tutto, anziché specializzarsi, pur di levare spazio e quote di mercato ad altri, ed anche tante piccole realtà non sono certo passate indenni dal vino Rosato o lo Spumante pur di avere una referenza in più in catalogo, disperdendo il più delle volte valori e capitali.

Un crack ancora più evidente nella ristorazione, in un paese di grande storia e tradizione culinaria, con un patrimonio incredibile di materie prime e produzioni alimentari che nessun altro paese al mondo può vantare. Abbiamo ceduto con incredibile velocità alla globalizzazione, disperdendo altrettanto velocemente un patrimonio enorme, quello delle Osterie, delle Trattorie, finanche delle Pizzerie sino a pochi anni fa e dei Ristoranti che hanno fatto scuola per decenni nel nostro paese, ognuno con la propria storia identitaria, una vocazione precisa, imitati e replicati – anche in maniera grottesca se vogliamo, ma genuina – ovunque nel mondo, formando cuochi e camerieri che hanno segnato profondamente la storia dell’ospitalità e dell’accoglienza italiana. Un crack che abbiamo accettato scientemente, certificandolo ridimensionando un po’ alla volta le storie dietro questi straordinari luoghi della memoria.

Sbaglia chi pensa che lo abbiamo fatto cedendo ai ristoranti cinesi, alla cucina giapponese, ai locali etnici. Sbaglia chi è certo che andava fermato lo straniero, il Kebab o il Ceviche. O almeno in parte. Il reale declino si è acuito quando abbiamo cominciato a pensare che le Osterie potessero fare bene anche a proporre Kebab o Sushi, che le Trattorie diventassero, come poi anche le Pizzerie, avamposti Gourmet a basso costo purché forniti di una cantina di tutto rispetto, mentre i Ristoranti, in quanto balocchi ed elevati nel nome dello chef, non necessariamente con una storia, potessero ambire legittimamente non più, non solo, al sogno Stellato da costruire anno dopo anno ma puntare, a suon di fragorosi gingilli e senza limiti temporali, al firmamento planetario.

Ecco, non è forse questo rincorrere modelli drogati e volti prevalentemente a levare agli altri spazio e sostanza che ci ha di fatto disorientati e privati di riferimenti? Nel nome della domanda l’offerta enogastronomica si è talmente globalizzata sino a smarrire identità. Più che domandarsi quindi se #andràtuttobene sarebbe forse il caso di ripartire da qui: riprenderci il passato per conquistare il futuro.

Questo articolo è stato pubblicato su Luciano Pignataro Wineblog.

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In vigna e in cantina non ci si ferma

21 marzo 2020

Sono giorni di particolare apprensione quelli che stiamo vivendo tutti, in larga parte ”reclusi” in casa in attesa che il tempo scorra veloce e che le buone notizie lascino presto immaginare un lento ritorno alla vita di sempre.

Ci sono ovviamente le dovute eccezioni, c’è chi negli ospedali è impegnato in prima linea da settimane nel combattere l’emergenza, chi invece non ha smesso di lavorare nemmeno un minuto per continuare a garantire i servizi essenziali per le comunità di tutto il paese come la produzione di beni di prima necessità, i servizi di assistenza e sicurezza, la logistica, per citarne solo alcuni senza i quali anche questo lento scorrere della vita al tempo del coronavirus diverrebbe di fatto impossibile.

Ciò detto, tornando a ciò che più ci appassiona e ci tiene in collegamento con queste pagine, anche in questo momento di disorientamento non bisogna perdere di vista che la coltivazione della vite e la produzione di vino hanno un calendario che in qualche maniera va seguito e rispettato anche in questo periodo segnato da non poche difficoltà.

Con Gennaio alle spalle, quando generalmente gran parte del lavoro in cantina con le fermentazioni e i processi di analisi sono superati e le prime potature in vigna ben avviate, sono proprio i mesi di Febbraio e di Marzo a divenire centrali per tutto il proseguio dell’anno.

In Febbraio, a cavallo della fine del mese, si completano in vigna le potature mentre in cantina c’è sempre gran fermento tra le vasche, dove i vini da bersi giovani terminano per gran parte le fasi della produzione mentre Cru e Selezioni sono alle prese con la definizione delle masse e ancora travasi. Altro tema sensibile in questo particolare momento dell’anno è quello della colmatura, pratica che riguarda principalmente i vini in affinamento in legno. Con il freddo infatti c’è una chiara contrazione del vino nelle botti esponendolo quindi al rischio di ossidazioni, evenienza a cui si rimedia colmando lo spazio vuoto fra la botte e la superficie del vino, attività che in alcuni casi, in particolari condizioni ambientali, può avvenire anche più di una volta a settimana.

A Marzo chi lavora in vigna sa che è questo il momento ideale per piantare nuove talee, tra l’altro proprio con la primavera riparte un lavoro programmatico della cura del vigneto per prepararlo al meglio alla ripartenza del ciclo annuale della vite. In cantina si procede invece all’imbottigliamento dei primi vini che andranno al debutto sul mercato da qui a poco, sono soprattutto vini da bersi giovani e in qualche caso gli spumanti metodo classico che hanno terminato il loro lungo percorso in bottiglia prima della sboccatura.

In Aprile, in qualche caso, vi può essere già un primo intervento di potature verdi in vigna, laddove vi siano germogli che si preferisce ‘’mettere giù’’ perché magari segnati da gelate notturne. In cantina si lavora invece alacremente nella gestione dei travasi per i Cru e le Selezioni mentre si terminano anche gli ultimi imbottigliamenti dei vini da bersi giovani e, si spera, soprattutto in questo momento di insopportabile sospensione temporale, che l’area commerciale dell’azienda torni alle prese con la gestione dei numerosi ordini di vendita da evadere.

Ci fermiamo per il momento qui, perché ci auguriamo sinceramente che superato questo brutto momento tutto possa ripartire regolarmente e in fretta: #andràtuttobene.

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Un’occasione mancata, solo rimandata

19 marzo 2020

L’International Taste Institute¤ è il leader mondiale nella valutazione e certificazione di alimenti e bevande di consumo da parte di professionisti. L’istituto accompagna migliaia di aziende in tutto il mondo nel migliorare la qualità dei loro prodotti rilasciando la rinomata certificazione Superior Taste Award.

C’era anche Angelo Di Costanzo tra i professionisti invitati dall’International Taste Institute di Brussels per il raduno internazionale previsto questo fine marzo prossimo, un invito per la verità atteso da tempo a cui però non si è potuto dare seguito a causa dell’emergenza covid-19.

L’istituto, con sede a Brussels, può vantare una rete multiculturale di appassionati di cibo che lavora a stretto contatto con alcuni dei migliori Chef e Sommelier del mondo. Fondato nel 2005, il Taste Institute sta crescendo rapidamente e sono ormai innumerevoli le aziende alimentari provenienti da più di 100 paesi del mondo, delle più diverse categorie di alimenti e bevande, che scelgono di misurarsi con questa prestigiosa certificazione di qualità.

I prodotti sono testati da un nutrito gruppo di esperti del gusto e membri delle più prestigiose associazioni di chef e sommelier di tutto il mondo, sono infatti solo 200 i membri della giuria che vengono accuratamente selezionati in base alla loro preziosa esperienza nella degustazione sensoriale e al proprio curriculum vitae professionale. Stiamo parlando di esperti di Food&Beverage, competenti Sommelier e Chef di ristoranti prestigiosi con stelle Michelin provenienti da oltre 20 paesi del mondo tra cui la Spagna, la Francia, l’Italia, il Portogallo, il Belgio e i Paesi Bassi.

Angelo Di Costanzo è nato a Pozzuoli e vive nei Campi Flegrei. Il Sommelier puteolano, professionista dal 2001, vanta una lunga formazione professionale con una solida e qualificata esperienza maturata sul campo: è stato Miglior Sommelier della Campania nel 2008 e nello stesso anno ”Spilla d’argento” Charme Sommelier, più volte in concorso al Trofeo Miglior Sommelier d’Italia è stato per anni Head Sommelier del prestigioso Capri Palace Hotel&Spa¤. Eletto Sommelier Italiano dell’Anno per la Guida L’Espresso 2014¤, dal 2015 è Manager¤ e Wine Specialist presso San Gregorio Ristorazione, società del gruppo Feudi di San Gregorio. E’ membro della sezione campana di ASPI¤, la prestigiosa Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, con la quale è particolarmente attivo nelle attività di divulgazione professionale e formazione delle nuove leve di professionisti.

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E’ necessario un gesto di responsabilità comune: #iorestoacasa

10 marzo 2020

Il nostro futuro, il futuro dell’Italia è nelle nostre mani. E’ necessario che ognuno faccia la sua parte, rinunciando a qualcosa per il bene della collettività. In gioco c’è la nostra salute e quella dei nostri cari, #iorestoacasa, fermarsi per qualche giorno, sino a quando sarà necessario è un gesto di grande responsabilità e segno di profondo senso civico. E’ necessario fermarsi per ripartire più forti di prima!

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Vinitaly, rimandato a Giugno il Salone del vino

3 marzo 2020

“In considerazione della rapida evoluzione della situazione internazionale che genera evidenti difficoltà a tutte le attività fieristiche a livello continentale, Veronafiere ha deciso di riposizionare le date di Vinitaly, Enolitech e Sol&Agrifood dal 14 al 17 giugno 2020, ovvero nel periodo migliore per assicurare a espositori e visitatori il più elevato standard qualitativo del business”.

Così Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere in chiusura del Consiglio di amministrazione della Spa, riunitosi oggi. “Vinitaly, insieme ad OperaWine – ha proseguito il direttore generale –, si svolgerà quindi in un contesto temporale in cui grandi eccellenze del made in Italy, quali Cosmoprof e Salone del mobile, per esempio, avranno il compito di rilanciare con forza l’attenzione dei mercati internazionali e l’immagine dell’Italia. In questo frangente ringraziamo le aziende per la fiducia che ci stanno dimostrando”.

La decisione è stata frutto di un’attenta analisi dei dati disponibili oltre che dell’ascolto delle posizioni degli stakeholder del mercato, incluse le principali associazioni di settore: Unione Italiana Vini, Assoenologi, Federvini, Federdoc, Federazione vignaioli indipendenti e Alleanza delle Cooperative settore vitivinicolo. “Lo spostamento a giugno di Vinitaly e di altre importanti manifestazioni internazionali nelle città di Milano e Bologna – spiega Maurizio Danese, presidente di Veronafiere – è un segnale che il made in Italy scommette su una pronta ripresa economica nei settori chiave del sistema-Paese. Auspichiamo quindi che il nuovo calendario fieristico nazionale possa generare una rinnovata fiducia ed essere strumento con cui capitalizzare la ripartenza del nostro Paese”.

Veronafiere attiverà una task force per assistere i propri clienti in ogni ambito necessario alla riorganizzazione delle manifestazioni posticipate e in stretta collaborazione con le associazioni di riferimento predisporrà tutte le azioni di incoming necessarie a garantire la presenza di buyer e operatori professionali qualificati. Sulle nuove date, inoltre, Confcommercio Verona e Cooperativa Albergatori veronesi hanno espresso massima disponibilità per favorire lo spostamento delle prenotazioni.

Nel 2021 Vinitaly sarà in calendario nelle sue date consuete (18-21 aprile); date che sono frutto dell’accordo con l’Union dei Grandi Cru di Bordeaux (UCGB) col quale dal 2013 c’è un accordo nato per incontrare le esigenze dei protagonisti del mondo del vino, buyer e stampa internazionale in particolare.

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Pozzuoli, il 24 Marzo a Villa Eubea la Masterclass ASPI FEUDISTUDI con Pierpaolo Sirch

25 febbraio 2020

ASPI MASTERCLASS FEUDI STUDI – FEUDI DI SAN GREGORIO

IL TERRITORIO PRIMA DI TUTTO!

Con Pierpaolo Sirch

Pozzuoli, 24 Marzo 2020

FeudiStudi è lo straordinario progetto di ricerca di Feudi di San Gregorio fortemente voluto da Antonio Capaldo che prova a raccontare ‐ con scelte di vinificazione e di affinamento senza compromessi commerciali da parte di Pierpaolo Sirch ‐ la ricchezza dei vigneti aziendali più espressivi, selezionati ogni anno fra i 700 vigneti di proprietà in base alle caratteristiche dell’annata.

Sono vini unici, prodotti in tiratura limitata (ca. 2.000 bottiglie) e non destinati ai canali commerciali tradizionali messi in bottiglie esclusive, ri‐edizione delle prime bordolesi del XVII secolo; tutto nasce due vigneti iconici di Fiano e negli anni seguenti sono stati individuati anche vigneti particolari di Greco e Aglianico.

La Masterclass, condotta da Pierpaolo Sirch e Angelo Di Costanzo si terrà presso Villa Eubea, a Pozzuoli, a partire dalle ore 19.00, è aperta ai soci ASPI e a tutti i professionisti e gli appassionati. Il costo per la partecipazione, codice MC2, è di 40 euro p.p. – 35 euro per i soci ASPI.

L’iscrizione può avvenire direttamente in sede o previa prenotazione via mail allegando copia del bonifico bancario intestato ad ASPI – IBAN IT 43 J 03111 5573 0000000010627 con la causale MC2 e cognome e nome. E’ indispensabile la prenotazione.

ASPI CAMPANIA

via Monte di Cuma 3, Pozzuoli (NA)

Tel. 081 804 6235 ‐ mail: napoli@aspi.it – campania@aspi.it

Leggi anche La prima recensione del progetto FEUDISTUDI Qui.

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Chianti Classico Gran Selezione Riserva Ducale Oro 2012 Ruffino

18 febbraio 2020

E’ l’amplesso del manuale del sommelier, la ragione di vita di chi scrive di vino, soprattutto di chi beve e scrive di vino: un vino rosso dalla grande storia, ampio, gaudente e dal finale lungo almeno quanto il nome che reca in etichetta, un po’ come ritrovarsi dinanzi alla scena dell’affondamento del Titanic¤: momento epico, l’orchestra che suona, la speranza che i soccorsi arrivino in tempo e che accada qualcosa di inaspettato nonostante il finale sia già tutto scritto.

Diciamolo subito, il Riserva Ducale Oro duemiladodici ci è piaciuto, non meno delle annate precedenti e non ha certo influito la menzione Gran Selezione che ha contribuito, se proprio vogliamo dirla tutta, solo a confondere un po’ le idee.

Così siamo andati a studiarcela e abbiamo imparato che un tempo c’era il Chianti, poi, dal 1967, la zona di produzione più antica viene meglio specificata con ”Chianti Classico”. Stiamo parlando di un’area storica più limitata, collocata fisicamente tra le province di Firenze e Siena intorno alla quale insistono poi diverse sottozone del Chianti: Colline Pisane, Colli Aretini, Colli Senesi, Colli Fiorentini, Rufina, Montalbano, Montespertoli. Tutte docg basate sul Sangiovese, previsto come minimo tra il 70% e l’80% nell’uvaggio sino all’essere utilizzato in purezza.

A questo vi si aggiungono le Riserve, quei vini cioè con invecchiamento di almeno 24 mesi e, tra i Chianti Classico con almeno 30 mesi e 13% di alcol in volume, la menzione Gran Selezione che tradotta in termini di qualità dovrebbe garantire la massima espressione possibile di questo territorio.

Cosa che questo Riserva Ducale Oro di Ruffino riesce a fare abbastanza bene, sebbene continuiamo a rimanere particolarmente suggestionati dalle versioni Sangiovese purosangue. Questo rosso nasce infatti con Sangiovese per l’80% con un saldo di Merlot e Colorino per la restante parte, uve provenienti dalle tenute di Gretole e Santedame a Castellina in Chianti. Il colore è rosso rubino con riflessi granato sull’unghia del vino nel bicchiere, il naso è subito sfrontato, ci sono rimandi alla viola e alla prugna, ancora a note fruttate di visciola e sensazioni di foglia di pomodoro e spezie dolci. Il sorso è pieno, ha tessitura importante e buon equilibro gustativo, con una interessante trama acido-tannica.

Ben presto, si vocifera, la menzione Gran Selezione potrebbe diventare marchio distintivo a disposizione di tutti i produttori del Chianti, non solo quindi per coloro i quali producono all’interno dell’area storica. Si resta a guardare quindi in attesa che accada qualcosa di inaspettato nonostante il finale sia, pare, già tutto scritto.

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L’Ager Falernus, oltre duemila anni di storia sulla bocca di tutti, le degustazioni della Masterclass!

5 febbraio 2020

E’ stata una bellissima esperienza umana nonché di crescita professionale guidare la Masterclass¤ di Aspi Campania tenuta a Pozzuoli in collaborazione con il Consorzio ViTiCa, ente che Tutela i Vini D.O.C. Falerno del Massico¤, Asprinio di Aversa, Galluccio e le I.G.T. Terre del Volturno e Roccamonfina.

La storia ci ha sempre raccontato che il Falernum già in epoca romana veniva considerato vera e propria rarità enologica tanto dall’essere addirittura riconosciuto con ben tre sottodenominazioni a seconda della sua provenienza geografica. Era chiamato comunemente vinum Falernum tutto quello prodotto nell’Ager ma generalmente da vigne allocate in pianura; il Faustianum invece era quello tralciato nell’area appena pedecollinare mentre veniva riconosciuto Caucinum solo quello più prezioso, proveniente dall’alta collina.

A seconda poi delle caratteristiche organolettiche che tali vini esprimevano, vi era anche una distinzione per tipologia del tipo Austerum per i vini austeri e/o astringenti, Dulce se appunto dolci o Tenue quando leggiadri e beverini. Parliamo certamente di vini che avevano ben poco a che vedere con l’odierna qualità espressa in terra di Falerno, ma la particolare attenzione riservata a questo vino ci suggerisce quanto queste terre fossero già allora vocate alla viticultura e, per i palati di allora, apprezzati i vini qui prodotti.

Oggi, pur avendone ben chiari i confini della doc Falerno del Massico non è affatto semplice riassumerne per intero una zonazione efficace di tale territorio che, oltretutto, gravita attorno al massiccio del Monte Massico facendo sì che si passi da terreni pedemontani a collinari – con tutte le implicazioni pedoclimatiche, ndr -, sino ad arrivare letteralmente al mare. Alcuni riferimenti che possono però aiutarci a comprendere meglio ciò che provano a raccontare certe bottiglie che vanno in giro ci teniamo comunque a precisarli.

Nell’areale di Sessa Aurunca insistono circa 78 ettari denunciati alla doc, coltivati prevalentemente con Aglianico, Piedirosso, Falanghina e Primitivo; qui i terreni sono generalmente caratterizzati da tufo nell’interno, verso il vulcano spento di Roccamonfina e sabbia e limo verso la costa sino al mare.

Cellole conta 25 ettari coltivati con Aglianico, Piedirosso, Falanghina, Primitivo, qui i terreni sono sostanzialmente caratterizzati da sabbia e limo con alcuni tratti di origine alluvionale.

A Carinola e nei suoi dintorni insistono 26 ettari piantati con Aglianico, Piedirosso, Falanghina, qui il vigneto sembra essere più omogeneo su tufo e argille.

Falciano del Massico il vigneto doc conta circa 13,5 ettari votati a Primitivo, Barbera, Piedirosso, Falanghina, Moscato con terreni frammisti di argille, crete e limo, sabbie.

Infine Mondragone, con i suoi 8,5 ettari di Primitivo e Falanghina e le sue vigne che diradano sino a due passi dal mare, qui i terreni sono composti perlopiù da limo, sabbie con misto argille.

Una terra straordinaria quindi l’Ager Falernus che oggi potremmo così definire: di qua, a partire da sud-ovest, Mondragone, Falciano e, verso nord-est, Carinola. Di là, a nord, Cellole e poi Sessa Aurunca con le sue frazioni di Carano e Cascano verso est che si spingono fin su il vulcano spento di Roccamonfina. Ad ogni modo un territorio tutto da scoprire, da bere, ricordare a cominciare da questi sette nomi…

Falerno del Massico bianco Aurunco 2018 La Masseria di Sessa. Una piacevole scoperta questa splendida realtà del comune di Sessa Aurunca. In linea con i principi di produzione naturale qui il vino biologico viene prodotto in maniera rigorosa a partire da frutti sani e ricchi di materia viva, una coltivazione senza ammendanti chimici, utilizzando per i terreni solo compost aziendale, fino ad un processo di trasformazione che abbina gli antichi metodi con una modernissima tecnica di pressatura che utilizza gas naturale per l’estrazione del mosto tale da consentire la riduzione, e in alcuni vini, la totale assenza dell’utilizzo dell’anidride solforosa. E’ un Falerno nuovo, affianca alla Falanghina un piccolo saldo di Fiano, è luminoso, ampio al naso, caratterizzato dal candore del debuttante ma con tanta buona materia dentro. Farà la sua strada.

Falerno del Massico bianco Vigna Caracci 2016 Villa Matilde Avallone¤. La storia di Villa Matilde comincia negli anni Sessanta con Francesco Paolo Avallone, avvocato e appassionato cultore di vini antichi, che, incuriosito dai racconti di Plinio e dai versi di Virgilio, Marziale ed Orazio sul vinum Falernum, decise di riportare in vita il leggendario vino scomparso al principio del secolo scorso. Dopo anni di studio, individuò le viti che avevano dato vita al Falerno in epoca romana: pochi ceppi sopravvissuti miracolosamente alla devastazione della fillossera di fine Ottocento vennero così ripiantati, con l’aiuto di pochi contadini locali, proprio nel territorio del Massico, dove un tempo erano prosperati e fondò Villa Matilde.

Oggi l’azienda è guidata dai figli di Francesco Paolo, Maria Ida e Salvatore Avallone che con dedizione esclusiva proseguono il sogno e il progetto del padre raccogliendone l’importante eredità guardando ancora oltre. Vigna Caracci duemilasedici è il Falerno bianco, espressione di questo territorio che trova nella sostenibilità e nella ricerca la sua forza e la sua proiezione. Ha un colore oro luminoso, il naso è intriso di tante piacevole sensazioni balsamiche, fruttate, floreali, melliflue, con quel sorso sferzante e caparbio, sapido e lunghissimo.

Falerno del Massico rosso 1880 2016 Bianchini Rossetti¤. La famiglia Rossetti è qui da oltre tre generazioni, l’azienda produce oggi Falerno del Massico con le uve di proprietà provenienti perlopiù dalla collina di San Paolo, nel cuore di Casale di Carinola. In prima linea da circa un ventennio ci sono Tony Rossetti e l’instancabile Zio Francesco, artefici dell’ultimo rinnovamento aziendale. La filosofia è semplice e chiara: produrre vini di qualità nel rispetto del territorio. Non ricordiamo di questo vino una sola sbavatura, giunti alla decima annata assaggiata con il duemilasedici ci appare sempre in grande forma, dal colore rubino vivace e con un naso fierissimo, pieno di sottili sfumature che fanno dei due varietali Aglianico e Piedirosso espressione unica di questa terra!

Falerno del Massico Primitivo Conclave 2017 Gennaro Papa¤. Produttori storici a Falciano del Massico, nel versante che guarda a sud del Monte Massico, fin dal 1900 promuovono la coltivazione del vitigno Primitivo oltre al moscato e ad altri vitigni minori poi ammessi nel disciplinare doc nel 1988. Dal 1999 iniziano gli imbottigliamenti e la commercializzazione del Falerno del Massico doc Primitivo e la valorizzazione dei vitigni storici coltivati sulle colline a 300 mt s.l.m. e contestualmente iniziano un lavoro di ricerca assiduo che da nuova linfa al territorio e alla viticultura dell’areale. E’ un gran bel bere il vino di Antonio Papa, profondo e suggestivo, nel colore, nei profumi straordinariamente originali e nel sapore secco, morbido, caldo, avvolgente, sapido. Ne torneremo a raccontare più dettagliatamente.

Falerno del Massico Primitivo Primo Antico 2017 Cantina Trabucco. L’azienda di Nicola e Danilo Trabucco nasce nel 2003 nel piccolo comune di Carinola, alle pendici del Monte Massico con l’obbiettivo di produrre vini territoriali di pregio che possono esprimere in tutta la loro pienezza, la forza e l’eleganza del territorio d’origine. Primo Antico duemiladiciassette nasce con una idea precisa, quella di avvicinare al Falerno massicano bevitori seriali e a guardare il risultato nel bicchiere ci appare un messaggio chiaro ed inequivocabile, oltre che vincente!

Falerno del Massico rosso Etichetta Bronzo 2013 Masseria Felicia¤ – Sessa Aurunca. Camminare a passi lenti e brevi tra i filari e lasciarsi cogliere da un sorriso, quasi una smorfia della bocca che si trasforma in mezzaluna, e illuminare l’aria. Questa semplice azione che poi si è trasformata in abitudine, è quella che ha spinto Maria Felicia a viverci tra queste vigne e questi uliveti. Collocata alle falde del Monte Massico, eccoci dinanzi ad un Falerno del Massico di antica tradizione e nuova identità. Etichetta Bronzo duemilatredici è un rosso meravigliosamente squadrato, dal colore rubino profondo con delicate sfumature di alleggerimento sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è ricco, subito verticale, parte sfrontato, accigliato, speziato, poi viene fuori l’amarena, la prugna, sentori di tabacco. Il sorso è slanciato, perentorio il tannino, tanto è caparbio che ti sembra quasi di masticarlo, ma lo perdi tra un morso e l’altro del frutto polposo e gaudente.

Falerno del Massico rosso E’ 2015 Torelle. L’azienda della famiglia Guardascione nasce nel 2009 con l’acquisto dei terreni, in località Torelle nel comune di Sessa Aurunca per intuizione di Emanuele. Era un agronomo e la sua più grande passione era la viticoltura. Dopo la laurea in agraria iniziò il suo percorso, prima con Pierpaolo Sirch presso Feudi San Gregorio, poi per qualche anno presso l’azienda cilentana De Conciliis. Nel 2010 piantò i primi 2,5 ettari di Aglianico e nel 2014 rilevó una piccola cantina nella frazione di Cascano, sempre nel comune di Sessa Aurunca, dove portò a termine la sua prima vendemmia allorché venne a mancare prematuramente all’età di soli 29 anni.

Giuliana, la sorella, a cui Emanuele ha provato a consegnare il testimone nonostante il troppo poco tempo a disposizione, ha subito raccolto con grande slancio l’eredità del fratello e continua a metterci l’anima nel portare avanti il loro sogno, rinverdire i fasti del Falerno. L’azienda produce oggi circa 12.000 bottiglie di vino con uve provenienti da vigneti coltivati in biologico proprio a ridosso del vulcano spento di Roccamonfina. Falé duemilaquindici non è ancora in commercio, è un Falerno dal sapore ancestrale, vivace e sfrontato al naso, vinoso, floreale, fruttato, quanto sottile e saporito al palato. Ci ha aperto gli occhi su un’altra splendida realtà dell’Ager da tenere d’occhio nei prossimi anni. Ci torneremo su.

Leggi anche Piccola guida ai vini Falerno del Massico Qui.

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Mai più ”nemo propheta in patria”!

1 febbraio 2020

E’ stato necessario qualche giorno di decantazione, per dirla con parole enoiche, era necessaria un’attenta analisi del vortice di sensazioni ed emozioni raccolte durante la lezione¤ di approfondimento sui Campi Flegrei tenuta al Corso Propedeutico per Sommelier ASPI¤ che ha visto riunirsi eccezionalmente gli aspiranti Sommelier di I° e II° livello.

Sono poi pervenuti tantissimi attestati di stima e messaggi da amici e semplici appassionati, produttori e colleghi professionisti a conferma di quanto sia fondamentale mantenere alta l’attenzione e la collaborazione tra tutti del mondo del vino per guardare al futuro con maggiore entusiasmo e per fare sempre meglio.

Ho a lungo studiato questo territorio, continuo a farlo ogni giorno provando a coglierne le peculiarità, un approfondimento costante, maturato in oltre 20 anni di esperienza e nato dall’esigenza di raccontare la memoria di questi luoghi meravigliosi che a forza di vederceli sempre sotto al naso quasi si rischia di non coglierne il reale valore storico e culturale che serbano in sé.

Una memoria straordinaria tratteggiata di tufo e cenere, piena di testimonianze, di presenza, di resilienza, valori unici ma che ogni giorno rischiano di dissolversi nel mare magnum della distrazione di massa a cui siamo costretti, un rischio che portato all’eccesso può provocare la scomparsa di principi fondanti. Non è così che deve andare.

Ecco perché questa memoria va preservata, conosciuta a fondo e trasferita al prossimo in maniera che a sua volta questi possa averne cura a trasferirla nuovamente al futuro.

Chi ha vissuto, lavorato, faticato prima di noi queste terre merita rispetto, vieppiù chi continua a farlo nel rispetto della memoria preservandone tradizioni e luoghi che altrimenti sarebbero in balìa dell’urbanizzazione massiva e la più becera speculazione edilizia. La vocazione naturale di certi luoghi deve rimanere tale e chi può contribuire alla loro valorizzazione deve farlo, deve essere sostenuto, senza remora alcuna.

Custodire questi luoghi, aver cura di queste terre, di certe vigne storiche ad esempio, raccontare i vini qui prodotti, è un atto d’amore indispensabile a cui non è possibile sottrarsi.

Un atto d’amore che vede in prima linea produttori e vignaioli, professionisti e appassionati, donne e uomini che continuano a muoversi tra mille difficoltà su un terreno non sempre facile, talvolta a dir poco complesso ma che, forse, anche per questo, diviene ancor più significativo e unico nel suo genere e che merita di essere raccontato al mondo e soprattutto conosciuto di più dalle stesse popolazioni locali che spesso nemmeno hanno percezione di questo patrimonio. Mai più ”nemo propheta in patria”!

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Non è una storia qualunque quella del Gratena Nero

24 gennaio 2020

C’era una volta una piccola vigna di 700/800 piante semi nascosta in una parte alta e poco battuta di una Fattoria toscana in zona Chianti, un fazzoletto di terra dedicato poi a Beppone, l’ultimo contadino a mezzadria della fattoria che, tra gli altri, aveva preso particolarmente a cuore proprio questi pochi filari sino alla soglia dei novantanni, quando nel 1980 dovette cedere il passo ad altri.

In tempo di vendemmia proprio qui Beppone ci trascorreva infatti gran parte della giornata già dal mattino presto; da qui, per quanto pochi, provenivano grappoli d’uva dolcissimi che maturavano per prima e spesso con un anticipo di almeno 3 settimane rispetto alle altre varietà presenti nella Fattoria.

Siamo a Gratena, nel comune di Pieve a Maiano, in provincia di Arezzo, in area Chianti docg. L’azienda è biologica dal 1994, stiamo parlando di 180 ettari di cui 17 a vigneto e 1600 olivi tutti gestiti in maniera sostenibile e quanto più naturale possibile, con concimazioni con letame, trattamenti con solo rame e zolfo, vendemmia esclusivamente manuale. Di questa splendida realtà ne abbiamo scritto, tra i primi, già qualche anno fa proprio Qui, rimanemmo particolarmente colpiti dal loro Chianti Gratena duemilatredici, un rosso tanto sincero quanto disarmante, con tanta frutta già al primo naso (arancia sanguinella, melograno, mora, ribes, ndr) e un sorso pieno di soddisfazione, secco e ben bilanciato, morbido e sapido, snello e avvolgente, piacevolissimo da bere.

Tornando un po’ indietro con gli anni, era il 1997 quando, al tempo di programmare l’estirpo di alcuni appezzamenti per procedere al graduale rinnovo dei vigneti, ci si accorse quasi per caso di un particolare della vigna del Beppone: era tempo di vendemmia e in pianta come sempre c’era poca uva, un centinaio di chili, ma ciò che attirò l’attenzione furono le foglie, a guardarle con attenzione erano molto strane per una varietà Sangiovese e più simili a quella di un Cabernet o di un Merlot. L’uva era sempre dolcissima e coloratissima, quasi inchiostro, ma saggiandola non aveva per nulla l’erbaceo del Cabernet. Non era Sangiovese, né Colorino, e nemmeno una varietà internazionale.

La curiosità condusse a vinificare separatamente quei pochi grappoli per qualche vendemmia e gli assaggi a venire del vino, che era scurissimo, denso, violaceo, assai empireumatico e molto tannico, faceva presagire ben poco di quanto invece era capace di esprimere dopo qualche mese di sosta in legno e in bottiglia: conservava un colore vivacissimo e sprigionava infatti profumi molto particolari, oltre che un sapore straordinario, quasi unico per quel territorio. Proprio come questo duemilaquindici prova a raccontarci nelle sue intenzioni: è un rosso di carattere e struttura, intenso nel colore e ampio e suggestivo al naso, il sorso è pieno e vigoroso ma si allunga piacevole e persistente sino ad un finale di bocca caldo e avvolgente; è uno di quei rossi pregni di stoffa da seguire con attenzione nella loro evoluzione nel tempo.

E’ dal gennaio del 1999 che quella vigna è stata così lentamente rinnovata grazie ad un costante reimpianto durato sino al 2010 con circa 20.000 barbatelle di quello stesso varietale tanto strano e particolare; contemporaneamente venne affidato alle ricerche del Prof. Attilio Scienza dell’università di Milano che ne ha eseguito uno primo studio approfondito di tre anni e poi, dopo quasi 10 anni, ne ha potuto delineare il profilo di un vero e proprio nuovo vitigno a bacca rossa, omologato con Decreto Ministeriale del 28/05/2010 con il nome di Gratena Nero. E l’Istituto CREA di Arezzo, con il Prof. Storchi, ha poi terminato gli studi consentendo alla Regione Toscana di poterne decretare l’ammissione agli albi regionali nel settembre del 2017. Il vitigno Gratena Nero è ora ufficialmente un nuovo vitigno Toscano.

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